Col nome di MESSAPÎ ('Ιήπυψες Μεσσάπιοι) la geografia ionica, o per lo meno un logografo anteriore a Erodoto, indicò la popolazione della regione che i Greci chiamavano 'Ιαπυγία e i Romani dissero Apulia (Japigi). Codesto logografo o geografo pare Ecateo, che da altri frammenti si rivela diretto conoscitore del paese, prima del 500 a. C. Tuttavia, pur assegnando ai Messapî la penisola da Taranto e da Brindisi fino al Capo, Erodoto avverte che essi non costituiscono ἔϑνος diverso dagli Iapigi, e dello stesso avviso parrebbe Antioco di Siracusa. La distinzione ancora concreta ai tempi di Tucidide e in uso a Taranto pare confermata dal fatto che messapie erano le città unite contro Taranto nella guerra del 473 a. C. Si tratta dunque o di una nazionalità più omogenea, o di una più stabile federazionc politica e militare. La lingua dei Messapî è detta dai Greci indistintament messapica; ma i Messapî sono per essi anche indistintamente βάρβαροι, cioè, rispetto agl'Italioti, "non parlanti lingua greca o italica".
Preistoria:
Dal fatto che nella regione italica più direttamente prospiciente alle coste dell'Epiro e ad Itaca l'Odissea non conosce ancora se non Σικελοί, e cioè la condizione etnografica generale dell'Italia preistorica, si arguisce che la comparsa degli Iapigi nella penisola non sia di molto anteriore alla prima età del ferro, 1000-800 a. C. D'altra parte è sicuro che il nome geografico di Siculi prima di quel tempo era tenuto da popolazioni di nazionalità e lingua opico-ausone, le sole conosciute dalla primissima tradizione italiota, raccolta alla fine del sec. VI a. C. dalle fonti interne (italiote) ed esterne (argive), rispettivamente di Antioco di Siracusa e di Ellanico, questi il solo dei logografi che Tucidide nomini espressamente. Opici o Ausonî sono infatti per loro i popoli che, cacciati dagli Iapigi dalle sedi in cui questi s'insediarono, passarono in Sicilia verso il 1035 a. C.
Protostoria:
Tradizione costante, ed espressa in varie forme nell'antichità, indica gli Iapigi come di stirpe illirica: a tale tradizione corrispondono gli etnici, i nomi geografici, le glosse, e la lingua delle iscrizioni messapiche. Perché Ecateo potesse parlare di 'Ιαπυγία, δύο πόλεις, μία, ἐν τῇ 'Ιταλιᾳ καὶ ἑτέρα ἐν τῇ 'Ιλλυρίδι, il presupposto è che la forma originaria e da lui conosciuta di gr. 'Ιαπυγία fosse 'Ιαπυδία (la formula con -d- è normale per gli 'Ιάποδες illirici). Eforo chiama 'Ιαπυγία ancl. e la Iapudia illirica. La stessa base è postulata dalla forma che divenne poi latina Apulia. Il primitivo Iapudia in una pronunzia greco-barbara cominciò dal perdere per spirantizzazione il j iniziale finché Apudia, su bocca latino-sabellica, divenne Apulia, come osco Akudunnia divenne Aquilonia, Aufidus Ωϕελος (Appian.). A Japudiscu risale anche il nome etnico degli Iapigi nelle tavole Iguvine (Japuzkum numen). Né è da meravigliarsi che Illiri si trovassero sulla costa orientale dell'Umbria, se di origine illirica son detti anche i Peligni e se una stazione di Liburni collocava sul Tronto la fonte di Plinio. La difficoltà di crederlo sta nel fatto che, mentre la presenza di Iapudi sulla costa pugliese presupporrebbe un'estensione corrispondente di questo popolo sulla costa illirica fino all'Epiro, in età storica gli Iapudi appariscono confinati nell'estremo angolo Nord-Est. del Mare Adriatico, accanto ai Veneti e senza una particolare importanza politica. Pare, però, che l'etnografia protostorica, in cui la dominazione degli Iapudi sulle altre stirpi doveva rappresentare la condizione politica generale della costa adriatica dell'Illyricum, sia stata successivamente modificata, oltreché da probabili e in parte dimostrabili immistioni di genti tracie, dalla talassocrazia liburna che nel 734 a. C. aveva ancora in sue mani Corcira, all'imbocco dell'Adriatico, dalle incursioni celtiche di Taurisci e Scordisci e finalmente dalla dominazione dalmatica trovata dai Romani. L'unità politica creata dagli Iapudi doveva essere quindi già spezzata nel IX o VIII sec. a. C., se nel VI non si parla se non vagamente dell'origine comune di Iapudi e Iapigi.
La presenza di Traci sulla costa Adriatica, oltre che dal figurare di Dardani, Paeones e Bryges, e poi complessivamente di Bessi, fino ai monti Acroceraunî, è indicata da una quantità di nomi geografici, ora a più riprese raccolti e illustrati dalla ricerca. Le infiltrazioni di genti tracie fra gl'Illirî precedono in ogni caso il passaggio in numero di Iapudi sulla costa italica, se tra le stirpi iapigie figurano:
- un popolo di Daunii che è anche il nome di una popolazione tracia: Δαόνιον πόλις Θρᾴκης; Δαύνιον τεῖχος (forse traduzione di un tracio Δαυνο-διζος);
- un popolo di Dardi distrutto da Diomede, nella cui regione colloca Licofrone una Δάρδανον πόλιν, v. 1128 seg., nome anche di popoli (Derdi, Dardaiti) e di città tracie;
- i Calabri, il cui nome, con usuale lenizione della sorda iniziale, trova riscontro nei traci Γαλάβριορ (tribù dei Dardani). i Sallentini, che rammentano il nome dell'illirico Salluntum. Tutti questi nomi sono o sembrano di carattere indoeuropeo. Altro nome tracio e indoeuropeo è iapigi Γάργαρον (Monte Gargano), da cui il nome Γαργαρία-'Ιταλία di Pseudo-Aristot., Mir. ausc., 108, cui corrispondono Γάργαρον,-α (Epiro), presso Steph. Byz., e Γάργαρα "vette del Monte Ida e città della Troade".
Organizzazione politica:
La prevalenza, nelle notizie e nelle iscrizioni, di gentilizî d'origine balcanica, come quelli dei Dasii e dei Blattii di Arpi in Livio, accenna chiaramente all'esistenza di un patriziato uscito dalla classe dei conquistatori e dominatori illirici in tutta la Iapigia. Delle loro competizioni intestine, quando essi non riuscirono a formare una oligarchia compatta o a creare una dinastia, si servirono ai proprî scopi Taranto e Roma. Si sa che nelle lotte con Cartagine le città seguirono le alternative di famiglie potenti parteggianti per Annibale o per Roma, donde la loro sorte finale. L'antichità ci ha tramandato parecchi nomi di re: Opis, Artas, Messapus, Dasummius, Malennius, ma di re o di regge si parla per città diverse: Uria, Rudiae, Brundusium, Lupiae e altre sedi ignote. Forse ogni città, oltre a una bulè propria, come Brindisi, ebbe anche un principe particolare. La federazione del 473 contro Taranto fu dunque una federazione politico-militare di città autonome. A federazioni di 12 o 13 città, o popoli illirî, divisi in tre tribù, alludono le notizie o leggende raccolte dagli scrittori. Poiché il numero di dodici città si ripete per la Campania, per l'Etruria e per la Padania, deve trattarsi d'influsso dei sistemi federali adriaco-egeo-ionici di dodici demi e rispettivi Βασιλεῖς con alla testa un πρύτανις Βασιλεύς, come prossimamente nell'isola vicina dei Feaci omerici. Talvolta, infatti, nelle leggende o nelle vicende di guerra si parla di un re di tutti i Messapî o di tutti gli Iapigi. A particolari leghe, intese o convenzioni di singole città si riferisce l'arcaico caduceo con le leggende δαμόσιον Θουριων e sotto il retrogr. δαμόσιον Βρενδεσίνον. La seconda iscrizione per le sue particolarità arcaiche deve essere copia di un modello più antico, mentre la prima, in alfabeto ionico-attico, deve essere opera del tempo di Cleonimo (302 a. C.) in cui la distrutta Thuriae (per il suo porto e la sua forte posizione probabilmente a Castro Marina) era forse stata alleata di Brindisi. A relazioni particolari di Baletium con Brundusium prima dell'occupazione romana allude la leggenda di Baletos figlio di Brentos.
Cultura e religione
Salvo che nelle tracce di una cultura locale collegata con quella di tutta la regione pugliese nella prima età del ferro, e derivata da età eneolitica, prima dell'influsso particolare di Taranto, in tutto il resto, architettura, arte, ceramica, la Messapia imita e ripete forme greche. La leggenda raccolta da Antioco, ancora nel sec. V a. C., dice che i Partenî della Laconia da principio vennero accolti ospitalmente dagl'indigeni della regione. Della vicina Rudiae si sa, forse dalla stessa fonte, che era divenuta una πόλις ‛Ελληνίς..
Il processo di antica ellenizzazione del paese è evidente dal culto. I nomi divini delle iscrizioni dedicatorie sono tutti di divinità greche: Aprodita, Aϑana, Aplu(n), Damatra e a Brindisi Heracles, di cui Brentos si diceva figlio. I culti proprî od originarî della stirpe dovevano essere ben semplici: il culto illirico-epirotico di Δειπάτυρος, "Giove padre", è attestato indirettamente da quello di Iuppiter Menzana, da Mend-ia na "equinus", cfr. alpino-gallo-dinar. mend-, alban. mes "muletto", dio al quale, secondo fonti romane si sacrificava gettando un cavallo vivo nel fuoco, forse a imitazione, più che di un analogo costume laconico, di quello notato da Strabone, presso gli 'Ιλλύριοι. Originario degli Japudi umbri pare anche in Umbria il culto di Iuppiter Grabovius, illiro-slav. grab- "faggio".
Dal nome teoforico Divana si direbbe che dei Messapî fosse anche il culto della corrispondente divinità femminile. Quanto agli eroi, il culto di Falanto a Brindisi parrebbe di derivazione tarentina, e la leggendaria inimizicia dei Brindisini contro Diomede dice che il culto di questo eroe restò limitato alla Puglia superiore e alle isole dell'Adriatico (Diomedee). Un eroe nazionale dovette essere Μέταβος o Μέταπος. Μέταβος fu anche il nome postomerico di Metaponto. Ma non è dubbio che l'eponimo Μέταπος originariamente fosse quello stesso di Μεταπία (Rhinton apud Hesych.) e di cui Μεσσαπία è un adattamento greco. Dall'iscrizione dell'elmo di Metaponto, si ricava che iapigio dovette essere una volta il dialetto di Metaponto, forse ancora prima dell'arrivo dei Sanniti e anche se già sotto dominazione tarentina. Di un'estensione maggiore della lingua messapica in corrispondenza della tradizione, secondo la quale gli Iapigi originariamente avevano cacciato gli Ausonî della regione fino allo stretto di Sicilia, non abbiamo elementi sicuri. Ma che l'ἔϑνος iapigio nel corso del sec. VII a. C. andasse oltre la destra del Casumtus (Basento), non è credibile, giacché il nome stesso di Μέταπος, dato alla città, e di *Μετάπιοι, dato agli abitanti, esprime un confine territoriale tra popolo messapico e non messapico. Tracce dello stato politico di età antica sono, tra gli altri, i ripetuti nomi dei Chones e di Pandosia illirici in questa regione e fino al fiume Traente, in pieno Bruzio.
Vicende politiche:
Le prime notizie storicamente sicure sui Messapî sono le loro lotte con Taranto al principio del sec. V a. C. Di una vittoria ottenuta dai Tarentini intorno al 500 resta testimonianza, in un accenno di Pausania, X, 10, 6, a un donario da loro posto a Delfi, tratto dal bottino dei vinti, e nell'iscrizione del medesimo donario di recente ritrovata. È verosimile che durante questa guerra sia stata distrutta dai Tarentini con ferocia la città messapica di Carbinium, situata a nord di Brindisi. Pochi anni dopo, quasi certo nel 471 e non nel 473, come asserisce Diodoro, XI, 52, i Tarentini subivano invece una grave sconfitta, che Erodoto, VII, 170, 3, dice la più terribile che i Greci avessero mai provato. Ma la riscossa fu rapida perché circa il 460 i medesimi Tarentini potevano mandare un nuovo donario a Delfi, di cui pure ci restano l'iscrizione e un ricordo di Pausania. È probabile che al tempo della fondazione della colonia panellenica di Turi (443 a. C.) gli Ateniesi stringessero amicizia con i Messapî per odio contro i Tarentini ostili alla nuova colonia. Certo, nel 427, durante la prima spedizione ateniese in Sicilia, gli Ateniesi potevano rinnovare una preesistente amicizia con i Messapî e averne anche qualche aiuto. A questo periodo si deve riferire anche una nuova guerra dei Tarentini contro i Messapî per il territorio della distrutta Siri, di cui parla Strabone. Il rafforzarsi della lega italiota placò le ostilità fin dopo la morte di Archita. Ma intorno al 343 i Messapî si erano nuovamente fatti minacciosi, se Taranto invocava l'aiuto di Sparta, che mandava il suo re Archidamo, il quale combatté cinque anni senza risultati decisivi e morì in battaglia a Manduria, in territorio messapico, nel 338. Alessandro d'Epiro, invocato poco dopo dai Tarentini (circa 335 a. C.), iniziava invece un'altra politica: cercava cioè di conciliare Greci e Messapî in vista del pericolo sannita sempre più grave, e ci riusciva. Comincia a questo punto la seconda fase della storia dei Messapî, che non è più di rivalità, ma di accordo con Taranto. Dapprima l'accordo fu anche comune con i Romani, ugualmente impegnati contro i Sanniti. I Messapî furono alleati dei Romani nella seconda guerra sannitica (326 a. C.) e nella terza (299 a. C.), ma in quest'ultima già cominciarono defezioni dei Messapî impensieriti della crescente potenza romana. Del resto non sembra che i Romani, né allora né poi, abbiano mai trattato con i Messapî collettivamente, benché dovesse esistere una loro lega, ma solo con le loro città, e infatti durante queste guerre ci appare come fedelissima la città di Arpi. I Messapî furono poi coinvolti da Taranto nella guerra con i Romani, per cui Taranto ebbe l'aiuto di Pirro (282 a. C.): già nel 280 i fasti trionfali romani ci parlano di una vittoria romana sui Sallentini, cioè sui Messapî. Nel 272 Taranto si dovette arrendere a Roma, e dopo le due campagne del 267 e del 266, del pari ricordate nei fasti trionfali, anche i Messapi dovettero cedere ed entrare a far parte della confederazione capitanata da Roma, non sappiamo bene a quali condizioni precise. Secondo l'elenco dei contingenti militari dato da Polibio, per l'anno 225 a. C., i Messapî nel complesso dovevano mettere a disposizione di Roma 50 mila fanti e 16 mila cavalieri. Nemmeno i Messapî rimasero fedeli a Roma dopo la battaglia di Canne nella seconda guerra punica: nell'inverno 213-12 erano già ribelli e sul loro territorio si poteva stabilire Annibale per preparare la defezione di Taranto a Roma avvenuta poco dopo (212 a.C.). Nel 209 i Romani ricuperarono il territorio. Della dura repressione della ribellione sappiamo poco: il particolare più importante è che Arpi fu privata di una parte del suo territorio, cioè di Siponto, in cui nel 194 a.C. fu collocata una colonia romana. L'ultimo tentativo di reazione a Roma si ebbe nella guerra sociale, ché i Messapî si ribellarono nel 90 a. C., ma la riconquista romana avvenuta nell'88 a.C. a cui seguiva la concessione della cittadinanza romana, non faceva che riconoscere e nello stesso tempo accelerare il processo di romanizzazione che trasformò del tutto l'antica gente illirica in latina.