La cosiddetta tarda antichità è una periodizzazione usata dagli storici moderni per descrivere l'epoca di transizione dal mondo antico a quello medievale. Confini precisi del periodo sono tuttora oggetto di dibattito, anche se, tendenzialmente, sono compresi fra il III e il VI secolo, e cioè dall'estinzione della dinastia dei Severi (o, secondo altri, dall'ascesa al potere di Diocleziano), fino all'età di Giustiniano, in cui si realizzò l'ultimo serio tentativo di Restauratio Imperii, ovvero di ripristinare l'Impero romano in Europa occidentale.

La definizione di questo periodo, ancora piuttosto radicata negli studi storici nonostante sia stata messa da tempo in discussione da molti importanti studiosi, presuppone tradizionalmente una valenza negativa: "tardo" indica, infatti, un concetto di decadenza. Il III secolo fu, soprattutto nei suoi decenni centrali, un'età di crisi politico-economica che in gran parte venne riassorbita nel secolo successivo, grazie all'energia di alcuni grandi imperatori (fra cui Diocleziano, Costantino I e Teodosio I), che costruirono un ordine nuovo rispetto a quello del "Principato": il "Dominato". Fin dagli inizi del V secolo, però, una nuova era di profondi sconvolgimenti interessò buona parte d'Europa e del bacino del Mediterraneo. Alle invasioni barbariche fecero seguito il tramonto o quantomeno le profonde e traumatiche trasformazioni del sistema e delle istituzioni politiche romane in Occidente e una crisi economica e demografica particolarmente accentuata, che si rifletté sulle condizioni generali di vita dell'Impero. Il VI secolo riportò una relativa stabilità nella parte orientale del mondo romano, ma non in Occidente, smembrato ormai in una serie di Regni romano-barbarici indipendenti. In Italia il processo di decadenza politica, sociale, demografica ed economica arrivò anzi al suo culmine proprio attorno alla metà del VI secolo, a seguito di una guerra particolarmente lunga e cruenta, combattuta dall'imperatore bizantino Giustiniano per la riconquista della Penisola dagli Ostrogoti.

Nonostante gli sconvolgimenti che la caratterizzarono, la tarda antichità fu un'epoca dove non mancarono novità e significative evoluzioni in più discipline (basti pensare alla nascita e allo sviluppo di una architettura e un'arte propriamente bizantine). In particolare fu proprio durante tale epoca, in età costantiniana, che la Chiesa cristiana, uscita di fatto rafforzata dall'ultima grande persecuzione (quella di Diocleziano e Galerio), iniziò ad essere protetta e a collaborare con quello stesso stato che fino a un decennio prima l'aveva combattuta, divenendo, sul finire del IV secolo, l'unica ufficialmente riconosciuta. La tarda antichità segnò pertanto la definitiva vittoria del Cristianesimo sul Paganesimo, ma anche la nascita di diverse dottrine cristologiche antagoniste e dei primi concili per definire i dogmi di fede. In virtù dei cambiamenti intercorsi in epoca tardo-antica, la Chiesa diventerà una importante protagonista della successiva storia medievale, sia come comunità religiosa, sia come potenza politica.

Un nuovo elemento che mutò profondamente l'equilibrio dell'universo imperiale romano, oltre alla continua divisione dell'impero in due o più partes e la nuova fede del Cristianesimo, fu l'arrivo di nuovi popoli entro i suoi confini. Barbaro di per sé era una parola dall'accezione negativa utilizzata dai greci in epoca pre-romana e che aveva il significato di balbuziente, incapace di parlare il greco. I Romani adottarono tale termine estendendolo a tutti coloro che non sapessero esprimersi compiutamente in latino, oltreché in greco. Gli insediamenti di popoli eurasiatici non sempre ebbero connotazioni cruente o negative. Varie etnie "barbare" diedero anzi origine ad entità statuali che, salvo rare eccezioni, si romanizzarono gradualmente dando vita, in età medievale, alle moderne nazioni europee. Per tale ragione alcune storiografie, come quelle di area germanica, hanno preferito usare la denominazione di "migrazioni di popoli" (Völkerwanderung).

Verso la metà del IV secolo la pressione delle tribù germaniche sui confini del Danubio e del Reno era diventata molto forte. Tali tribù erano incalzate dagli Unni provenienti dalle steppe, che costituivano probabilmente la stessa popolazione degli Hsiung-Nu che un secolo prima avevano insidiato l'Impero cinese presso la Grande Muraglia. Le invasioni barbariche furono un fenomeno di vasta portata e lunga durata, che ebbe probabilmente come epicentro le steppe dell'Asia centrale. La storiografia ci ha tramandato i nomi di Alamanni, Svevi, Burgundi, Franchi, Vandali, Ostrogoti, Visigoti ed altri ancora.

Nel 378 i Visigoti sconfissero e uccisero l'Imperatore Valente nella battaglia di Adrianopoli. Graziano non si sentiva in grado di controllare da solo la situazione, e affidò al genero Teodosio la parte orientale dell'Impero. Teodosio venne a patti con i Visigoti, che minacciavano la stessa Costantinopoli, accettandoli come foederati e ammettendoli come mercenari nell'esercito romano.

A questo proposito non va dimenticato che nelle stesse file dell'esercito militavano ormai molti mercenari barbari: l'ereditarietà del ruolo di soldato rendeva sempre più difficile trovare persone adatte ad indossare le nuove pesanti armature che, adottate dai Parti, erano diventate necessarie anche per i Romani, senza contare la nuova cavalleria corazzata, sempre di origine partica, che comportava cavalli e cavalieri giganteschi.

I legionari romani, invece, erano sempre più attratti dal commercio o da altre attività non castrensi, cui sommavano i molti privilegi di cui continuavano a usufruire, tra i quali l'ambizione di essere sempre più spesso i veri arbitri dell'elezione imperiale. Alla penuria di forze realmente combattenti si fece fronte, all'inizio, con arruolamenti di Germani (legalmente liberi di arruolarsi come ausiliares, a differenza dei cittadini romani) e poi con la stipula di contratti con gruppi di guerrieri accompagnati dalle relative famiglie, che ricevevano terre abbandonate dai cittadini oltre a somme di denaro annuali per il loro servizio.

È importante notare che la pressione dei barbari sull'Impero non sempre fu distruttiva, nel senso che molti barbari non desiderano altro che entrare a far parte dell'Impero, stanziandosi sul territorio oppure offrendosi al servizio di questo (si vedano i generali d'origini germane come il grande Stilicone, o il caso di Magnenzio, che tuttavia si autoproclamò imperatore, Arbogaste, che dopo un'onorevole carriera in cui fece addirittura le veci dell'Imperatore in Occidente probabilmente fece assassinare l'imperatore Valentiniano II, etc.).

Tuttavia, quando si accorgono che il rapporto di forze è loro favorevole, a volte i capi barbari non esitano a rompere gli indugi e misurarsi in battaglia con le forze imperiali. A questo proposito è indicativa la clamorosa sconfitta subita da Valente da parte dei Goti che successivamente distruggeranno anche Milano o il sacco di Roma da parte di Alarico frustrato nella sua ambizione di venir nominato maresciallo dell'Impero e sentitosi tradito dai Romani che lo avevano lusingato con fallaci promesse.

Guardando ai rapporti tra i re barbarici e l'Impero appare evidente come essi avessero relazioni, anche nei momenti più drammatici, che non si riducevano mai a uno scontro frontale. In realtà i barbari ammiravano e temevano le istituzioni imperiali, mentre la classe dirigente romana si avvaleva spesso delle forze di queste popolazioni vincolandole attraverso patti di varia natura e in particolare della foederatio ed hospitalitas. Spesso i capi barbarici entravano in stretto contatto con la corte imperiale, imparentandosi con le grandi famiglie patrizie e con la stessa famiglia imperiale, accettando i titoli onorifici (come patricius) e scegliendo per sé prenomi di tradizione romana, come Flavius. Molti barbari fecero carriera nell'esercito romano e come guardie del corpo imperiali, come il generale Stilicone, che aveva sposato una nipote di Teodosio I.