Ferdinando d'Aragona, ramo di Napoli, meglio conosciuto come Ferrante I e detto anche Don Ferrando e Don Ferrante (Valencia, 2 giugno 1424 – Napoli, 25 gennaio 1494), era l'unico figlio maschio, illegittimo, di Alfonso I di Napoli, fu re di Napoli dal 1458 al 1494. La madre, Gueraldona Carlino, era una donna probabilmente di origine napoletana che nel dicembre del 1423 aveva accompagnato Alfonso al suo ritorno in Spagna, dove poi sposò un tale Gaspar Reverdit di Barcellona.

Nell'intento di assicurare un buon futuro al figlio illegittimo, suo padre Alfonso lo aveva chiamato a Napoli. Su disposizione del re, il 26 luglio 1438, il governatore de Corella, il vescovo Borja e il giovane Ferdinando, con il suo seguito di giovani gentiluomini catalani, salparono da Barcellona per l'Italia. Il proposito di Alfonso era di preparare il suo unico figlio, anche se illegittimo, per il ruolo di erede del regno che stava conquistando. L'intera compagnia, il 19 agosto sbarcò a Gaeta, dove Ferdinando si ricongiunse con il padre, che conosceva appena. Fra padre e figlio si sviluppò presto un forte legame affettivo, poiché Alfonso apprezzava l'acuta intelligenza e il coraggio del giovane, mentre Ferdinando mostrava una reverente venerazione per il suo genitore. Alfonso, il 9 settembre del 1438, creò Ferdinando cavaliere sul campo di Maddaloni dove Renato d'Angiò-Valois, sfidato a battaglia, non si era presentato. Successivamente Ferdinando, a seguito della morte dello zio Pedro, nell'aprile 1439 fu nominato luogotenente generale del regno. Il 17 febbraio 1440 il re Alfonso, per autorità propria, legittimò e dichiarò suo erede al trono di Napoli il figlio naturale Ferdinando e quindi, nel gennaio 1441, si assicurò l'approvazione del parlamento dei baroni del regno che aveva convocato a Benevento. Il re Alfonso, sempre preoccupato per la successione, il 3 marzo 1443 nel monastero di San Liguoro conferì a Ferdinando il titolo di Duca di Calabria e ottenne, a seguito di una petizione da lui manovrata, che il parlamento dei baroni allora riunito proclamasse il proprio figlio erede legittimo al trono.

Il riconoscimento dei diritti di successione di Ferdinando furono suggellati dalla bolla emanata dal papa Eugenio IV nel luglio 1444 e in seguito confermati nel 1451 da Niccolò V. Ferdinando nel 1444 si sposò con l'ereditiera Isabella di Taranto, figlia di Tristano di Chiaromonte e Caterina Orsini Del Balzo, erede designata del principe Giovanni Antonio Orsini Del Balzo di Taranto, suo zio materno, che non aveva figli. Isabella era anche nipote della regina Maria d'Enghien che, avendo sposato Ladislao I d'Angiò, era stata pertanto regina di Napoli, di Sicilia e del Regno di Gerusalemme dal 1406 al 1414. Così come stabilito dal padre, Ferdinando gli succedette sul trono di Napoli nel 1458, all'età di 35 anni; ma papa Callisto III Borgia, mal disposto nei suoi confronti, con bolla del 12 luglio dichiarò vacante il trono di Napoli non riconoscendo la successione di Ferdinando perché, a suo dire, egli non era figlio né legittimo né naturale di Alfonso V d'Aragona, ma figlio di un servitore moro. Il pontefice morì nell'agosto del 1458 senza però essere riuscito ad esaudire il suo proposito; il suo successore, papa Pio II, invece, riconobbe come legittimo sovrano Ferdinando, il quale fu incoronato solennemente il 4 febbraio 1459 nella Cattedrale di Barletta. Malgrado questo, il rivale Giovanni d'Angiò, approfittando del malcontento dei baroni napoletani, decise di tentare la riconquista del trono dei suoi antenati, perduto dal padre, e invase Napoli.

Ferdinando fu inizialmente sconfitto dagli Angioini e dai baroni ribelli nella battaglia di Sarno il 7 luglio 1460. In tale occasione fu salvato dall'intervento di genti d'arme, "provisionati" e "coscritti", della Città della Cava capeggiati dai capitani Giosuè e Marino Longo: questi, giunti in località Foce di Sarno, discesero dal monte e attaccarono gli Angioini che, sorpresi e non potendo determinare l'entità dell'attacco, furono costretti ad arretrare concedendo a re Ferdinando la possibilità di aprirsi per la via di Nola la fuga verso Napoli. Fortunatamente per lui quella battaglia non ebbe esito decisivo, anzi il sovrano ottenne ulteriori aiuti dal duca di Milano Francesco Sforza condotti dal fratello Alessandro Sforza e dal nipote Roberto di San Severino conte di Caiazzo, da papa Pio II e del condottiero albanese Giorgio Castriota Scanderbeg, debitore al re della protezione avuta in passato da Alfonso. Le sorti della guerra si capovolsero a favore di Ferdinando I il 18 agosto 1462 in Puglia con la battaglia di Troia, dove il re Ferrante ed Alessandro Sforza inflissero una definitiva sconfitta ai loro avversari. Dopo la battaglia la schiera dei nemici di Ferdinando andò costantemente disgregandosi. Nel settembre 1463, il principe di Rossano, assediato in Sessa fu costretto a capitolare mentre a Giovanni d'Angiò fu concesso di rifugiarsi sull'isola d'Ischia. Il 16 novembre, la morte di Giovanni Antonio Orsini Del Balzo principe di Taranto privò il fronte angioino del suo più influente capo e finanziatore. Con la morte del principe di Taranto si realizzava il disegno originario di Alfonso V d'Aragona di fare di Taranto il principato-cardine nelle mani sue e dei suoi eredi. Il feudo pugliese fu ereditato da sua moglie Isabella e divenne un punto di forza fondamentale per le risorse di Ferrante. Rimaneva da conquistare l'isola d'Ischia, ultimo baluardo angioino, che era difesa dai fratelli Carlo e Giovanni Toreglia; questi con otto galee infestavano il golfo di Napoli al punto tale che re Ferrante chiese l'intervento di suo zio Giovanni II d'Aragona che gli mandò aiuti navali. Nella primavera del 1464, Giovanni d'Angiò, vistosi ormai isolato e sconfitto, ripartì con due galee per la Provenza.

La fine della ribellione dei baroni fu seguita da venti anni di pace interna che consentì al re Ferrante di rinforzare lo Stato e di accrescerne la ricchezza. La confisca delle terre dei baroni ribelli trasformò il rapporto di forza tra la Corona e la nobiltà del regno. Ferrante fu generoso con chi era stato leale alla sua causa, mentre eliminò coloro che gli furono ostili. Il re Ferrante non apportò modifiche all'apparato statale del regno di Napoli lasciando la burocrazia e le procedure amministrative così come le aveva impostate il padre Alfonso. Il re Ferrante, sempre diffidente verso i baroni, spinse i suoi sudditi a maggiore vigore economico con l'introduzione di nuove misure che di fatto consentivano, a tutta la popolazione del regno, di godere di maggiore libertà nella vita quotidiana. Con una legge del 1466, consentì ai coltivatori di disporre liberamente dei propri prodotti, svincolandoli dall'obbligo di dover vendere le derrate al signore locale al prezzo da lui fissato. Le città demaniali acquisirono sempre maggiore importanza mentre imponeva maggiori controlli sul potere baronale. Nel regno, gli ebrei protetti dal re Ferrante svolgevano una notevole attività artigiana e commerciale. Per le libertà comunali fu un momento importante. Il re stesso concesse statuti alle città demaniali e ratificò quelli concessi dai baroni, favorendo la crescita di un'aristocrazia urbana come contrappeso alla nobiltà feudale. Nel ventennio di pace interna al regno, la numerosa famiglia fu utilizzata da Ferdinando I per consolidare la dinastia con una serie di alleanze matrimoniali. Nel 1465, Alfonso, primogenito di Ferrante, sposò Ippolita Maria Sforza. Il Ducato di Bari fu assegnato prima a Maria Sforza e, dopo la sua morte, a Ludovico il Moro. La principessa Eleonora, figlia di Ferrante, andò in sposa ad Ercole d'Este. Dopo la morte della moglie Isabella di Chiaromonte, Ferrante conservò il legame con la Spagna sposando, il 14 settembre 1477, la cugina Giovanna, sorella di Ferdinando il Cattolico.

Nel 1486 partecipò alla guerra per il ducato di Milano in appoggio agli Sforza. Incoraggiato da Ludovico Sforza di Milano, nel 1493 il re di Francia Carlo VIII, erede dei pretendenti angioini di Napoli, si preparava ad invadere l'Italia per la conquista del Regno e Ferdinando comprese di essere di fronte al più grande pericolo che avesse mai affrontato. Con un istinto quasi profetico mise in guardia i principi italiani rispetto alla calamità che stava per abbattersi su di loro, ma le trattative con papa Alessandro VI e con Ludovico il Moro fallirono e Ferdinando morì prima di vedere il suo regno invaso. Ferdinando ebbe in dono un grande coraggio e una notevole abilità politica. Remunerò generosamente chi era stato leale alla sua causa, mentre fu severo, vendicativo e crudele verso i suoi nemici.

Completamente italianizzato, continuò tuttavia l'opera edilizia paterna verso la città di Napoli. A lui si deve un primo ampliamento della cinta delle mura, al quale fece seguito un secondo nel 1499. Dei suoi tempi sono il bellissimo Palazzo Como, ora sede del Museo Filangieri (costruito fra il 1464 e il 1490), il Palazzo Diomede Carafa (1470), la facciata del Palazzo Sanseverino, ora della Chiesa del Gesù Nuovo (1470), nonché la Porta Capuana. Ferdinando morì il 28 gennaio del 1494. Sul trono gli succedette il figlio Alfonso II di Napoli, che a sua volta abdicherà molto presto in favore del proprio figlio Ferdinando II (detto Ferrandino) a causa dell'invasione tanto temuta da Ferrante di Carlo VIII di Francia, che nel 1494 calò in Italia. La mossa non sortì gli effetti sperati: la stirpe aragonese era ormai pericolosamente vacillante e l'imminente arrivo del sovrano francese spinse molti nobili napoletani a schierarsi dalla parte dell'invasore, agevolando la futura caduta dei reali dal trono. Ferrandino morì precocemente senza eredi nel 1496, all'età di 28 anni. Il trono fu affidato a Federico I di Napoli, che era figlio di Ferrante e di sua moglie, Isabella di Taranto; fratello di Alfonso II, fu Re di Napoli dal 1496 al 1503. Al momento della salita al trono di Federico, non si erano ancora spente le rivendicazioni francesi alla corona di Napoli. A queste si aggiunsero le nuove aspirazioni di Ferdinando il Cattolico cugino di Federico. Il regno fu invaso e conquistato con le armi nel 1504 da Ferdinando il Cattolico che pose definitivamente fine alla dinastia di Alfonso V d'Aragona sul trono di Napoli.