Filippo d'Asburgo (Valladolid, 21 maggio 1527 – San Lorenzo de El Escorial, 13 settembre 1598),noto anche come Filippo il Prudente (Felipe el Prudente), dal 1556 alla sua morte fu re di Spagna come Filippo II, re del Portogallo e Algarve (dal 1581) re di Sicilia, re di Sardegna, re di Napoli (dal 1554) come Filippo I (in portoghese Filipe I) e duca di Milano (dal 1540). Fu anche re consorte d'Inghilterra dal 1554 al 1558 (sebbene, nell'ultimo periodo, avesse fatto pressioni per divenire re regnante, ma senza successo).

Nato a Valladolid, il 21 maggio del 1527, da Carlo V d'Asburgo e da Isabella d'Aviz, ricevette un'educazione precoce presso la corte di Spagna che gli fu impartita da Juan Martínez Silíceo, futuro Arcivescovo di Toledo e cardinale. In un primo momento la sua educazione consistette principalmente negli esercizi delle armi e nello studio della letteratura ma in seguito prese a trattare numerosi altri campi del sapere umano e in particolar modo la linguistica. Il principe, infatti, poté studiare con docenti illustri, tra cui l'umanista Juan Cristóbal de Calvete Estrella, riuscendo a conseguire una buona padronanza del latino e dello spagnolo. Nonostante lo zelo, Filippo non riuscì mai a eguagliare il padre, dato che mancava di ogni conoscenza della cultura tedesca: infatti, Filippo, nato, cresciuto ed educato in Spagna, si sentiva culturalmente spagnolo e considerava il proprio paese come il baricentro dell'impero, il Sacro Romano Impero gli era completamente estraneo e percepiva il principe come uno straniero. Questo, in ultima analisi, impedì la sua successione al trono imperiale. All'età di undici mesi, nell'aprile del 1528, ricevette il giuramento di fedeltà come erede alla corona dalle Cortes di Castiglia; rimase sotto le cure della madre, Isabella d'Aviz, e delle sue dame portoghesi fino alla di lei morte nel 1539. In questo periodo strinse rapporti particolarmente profondi con una delle dame della madre, Dona Lenor de Mascarenhas, con due delle sue sorelle, Maria e Giovanna d'Asburgo, e i suoi due paggi, il nobile portoghese Ruy Gómez de Silva e Luis de Requesens, il figlio del governatore Juan de Zúñiga, che avrebbero servito il sovrano per l'intera durata della loro vita esattamente come sarebbe successo per Gonzalo Pérez, il suo segretario particolare sin dal 1541. Secondo le usanze della corte spagnola, Filippo ricevette il titolo di Principe delle Asturie e, sempre sulla scia dei costumi degli Asburgo, divenne ben presto oggetto di trattative matrimoniali con l'erede titolare del Regno di Navarra. La Navarra, infatti era stata acquisita solo pochi decenni prima durante il regno di Ferdinando II d'Aragona, creando una costante tensione con gli eredi legittimi della provincia, la casa di Albret, tributari del Regno di Francia. Per risolvere il conflitto, Carlo V propose al titolare della Navarra un matrimonio tra Filippo e la sua unica erede Giovanna III di Navarra, ma l'opposizione del re di Francia Francesco I fece fallire il progetto nel 1541.

Filippo ricevette una buona educazione nelle arti militari da Juan de Zúñiga e da Fernando Álvarez de Toledo, Duca d'Alba, con il quale partecipò alle guerre d'Italia, presenziando all'assedio di Perpignano del 1542. Non vide però l'azione in cui le truppe del suo mentore, il duca d'Alba, decisamente inferiori di numero, sconfissero gli assedianti francesi guidati dal delfino Enrico. Di ritorno da Perpignano, ricevette il giuramento di fedeltà delle cortes di Aragona a Monzón. Alla morte della moglie, Carlo V decise di prendere sotto la propria personale tutela il figlio, iniziando la sua formazione politica in modo che potesse affiancarlo nel governo del vasto impero, come testimoniano le istruzioni dell'imperatore al figlio in cui sono elencate le virtù del buon governante: pietà, pazienza, modestia e diffidenza. Nel 1540, Carlo V cedette al figlio il Ducato di Milano e tre anni dopo, convinto del precoce ingegno del figlio e del suo carattere grave e prudente, gli affidò la reggenza sull'intera Spagna, affiancandogli esperti consiglieri tra cui Francisco de los Cobos y Molina e il duca d'Alba; tali poteri divennero, de facto, pari a quelli del monarca nel 1550. Gli effetti di tale educazione furono notevoli sulla personalità del principe: parlava a bassa voce, era freddo, flemmatico, dotato di un gelido autocontrollo, con un sorriso tagliente come una spada, così fece notare un suo ministro. L'ambasciatore veneziano Paolo Fagolo lo descrisse così nel 1563: «basso di statura, dal viso rotondo, con gli occhi azzurro chiari, un labbro prominente, la pelle rosa, ma il suo intero aspetto è molto attraente [...] si veste con molto gusto, ed i suoi atti sono cortesi e gentili.»

Carlo V aveva governato il regno di Spagna e il Sacro Romano Impero; avrebbe pertanto desiderato che suo figlio gli succedesse anche come imperatore ma incontrò l'opposizione del fratello, Ferdinando, eletto re dei Romani nel 1531. Nel 1550, l'imperatore consegnò ufficialmente al figlio la reggenza dei domini spagnoli dai quali dipendevano i domini italiani dell'Italia meridionale e le colonie. Nel 1551, per risolvere gli screzi con il fratello Ferdinando, l'imperatore fu costretto a un compromesso: Ferdinando sarebbe divenuto imperatore, re di Germania e re d'Italia, ma dopo la sua morte, Filippo avrebbe ottenuto i titoli concedendo al figlio di Ferdinando, Massimiliano, la corona di re dei Romani e l'incarico di governatore della Germania. Anche tale accordo, tuttavia, fallì per via dell'aspirazione di Ferdinando a creare una dinastia autonoma e così nel 1555, Filippo rinunciò alla sua rivendicazione al trono imperiale. La successione nei Paesi Bassi fu, invece, meno traumatica dal momento che già nel 1549, Carlo V, con una Prammatica Sanzione, istituì il titolo di "Signore dei Paesi Bassi" per indicare l'unificazione sotto un unico governo delle diciassette province preesistenti e impose che alla sua morte tale titolo sarebbe passato al figlio. Nel 1553, Carlo V cedette al figlio la corona dei Regni di Napoli, Sicilia e Sardegna. Il 22 ottobre del 1555, Carlo V abdicò a Bruxelles e consegnò al figlio il titolo di Gran maestro del Toson d'oro. Tre giorni dopo, in una grande cerimonia, davanti a centinaia di ospiti, Carlo V abdicava anche come Sovrano dei Paesi Bassi mentre solo il 10 giugno dell'anno seguente cedette al figlio i titoli borgognoni. Infine, il 16 gennaio 1556, Carlo I di Spagna (V come Sacro Romano Imperatore), nelle sue stanze private, senza alcuna cerimonia, cedette a Filippo le corone dei regni iberici, della Sicilia, della Sardegna e delle Indie di cui aveva già ottenuto il governo secondo le Instrucciones de Palamós'.

Dopo aver vissuto, nei primi anni del suo regno, nei Paesi Bassi Filippo II decise di tornare in Spagna stabilendo la capitale del proprio impero presso la città di Madrid, al centro dell'altopiano della Castiglia. Sebbene sia stato descritto come un monarca assoluto, Filippo II dovette affrontare non pochi vincoli alla sua autorità. Infatti, l'Impero spagnolo, su cui regnava, non era uno stato unitario ma una federazione di regni separati che conservavano ciascuno le proprie leggi, i fueros, usanze, consuetudini e statuti o privilegi, le cortes locali conservavano la piena potestà tributaria e potevano in ogni momento opporsi ai voleri del governo centrale e infine neppure le forze armate erano unitarie ma venivano arruolate tra la popolazione delle province alle quali restavano fortemente legate. Per tali motivi, l'autorità degli Asburgo era assai debole e in ogni momento poteva essere posta in discussione da tali assemblee locali, espressione della nobiltà e dei ceti borghesi locali (questi ultimi erano particolarmente potenti nella Generalitat de Catalunya). Un esempio che ben testimonia questa precaria situazione fu la ribellione del 1591-92 dei territori della Corona d'Aragona quando Filippo II fece arrestare il nobile Antonio Pérez attraverso l'inquisizione, violando i fueros. Oltre alla nobiltà, Filippo II dovette gestire il problema della popolazione dei Moriscos, i discendenti della popolazione araba, che, stanziatisi principalmente in Andalusia, avrebbero potuto agevolare un eventuale attacco ottomano. Nel 1569, esacerbati dalle campagne di conversione al cattolicesimo e dai tentativi di assimilazione, si ribellarono e solo a fatica Filippo II poté ristabilire il proprio dominio, ordinando di disperdere i moriscos presso altre province per meglio controllarli. Altro problema fu quello fiscale, infatti, la Spagna, nonostante gli immensi domini, presentava una popolazione assai scarsa mentre la riscossione delle imposte, nelle mani delle cortes locali, risultava quanto mai discontinua. Di conseguenza il regno divenne estremamente dipendente dai flussi di reddito del Nuovo Mondo i quali, però, non furono impiegati in investimenti ma in spese militari o per il mantenimento dell'apparato burocratico causando una fortissima inflazione. Infine il regno di Filippo II vide il fiorire della cultura spagnola dando inizio al cosiddetto Siglo de Oro lasciando una ricca e duratura eredità nel campo della letteratura, della musica e delle arti visive.

La politica estera di Filippo II fu determinata da una combinazione di fervore cattolico e di zelo dinastico. Infatti, Filippo II interpretò il ruolo proprio e della Spagna come quello del principale difensore dell'ortodossia cattolica nei confronti dei turchi ottomani e degli eretici protestanti. Tale lotta lo impegnò per tutta la durata della sua esistenza né mai cedette ad alcuna forma di compromesso fino a combattere contro le eresie anche su più fronti e a qualunque costo piuttosto che concedere la libertà di culto nei suoi territori. Tale rigida politica fu applicata in primo luogo nei Paesi Bassi dove, durante il regno di Carlo V, il protestantesimo e il calvinismo avevano posto profonde radici. Pertanto, abbandonando le cautele paterne, irrigidì le sanzioni e impose tribunali speciali per sradicare ogni focolaio eretico ma, così facendo, suscitò la Rivolta che con il coinvolgimento di Francia e Inghilterra, continuò per tutta la durata del regno di Filippo II e dei suoi successori. Il sostegno dato dall'Inghilterra ai ribelli olandesi fu inoltre, la principale causa del fallimentare tentativo di Filippo II di invasione che si concluse tragicamente con il disastro dell'Invincibile Armada del 1588. Fallì anche il suo coinvolgimento a sostegno della lega cattolica nelle guerre di religione francesi, attuato nel tentativo di impedire l'ascesa al trono di un esponente del partito ugonotto. La lotta contro i Turchi ebbe invece, successo grazie all'intervento della Spagna nella Lega Santa e alla vittoria conseguita dal fratellastro, Don Giovanni d'Austria, nella Battaglia di Lepanto nel 1571. Infine, tra i suoi successi va annoverato anche il conseguimento dell'Unione dinastica con il Regno del Portogallo a seguito dell'estinzione dei membri della Casa d'Aviz e della Crisi di successione portoghese.

Nei suoi primi anni di regno, la politica estera di Filippo II fu volta verso l'Italia dove si stavano consumando le ultime fasi del lungo conflitto contro la Francia. Nel 1557 tuttavia, l'esercito spagnolo guidato da Emanuele Filiberto sconfisse l'armata francese nella Battaglia di San Quintino mentre l'anno seguente la Francia fu ancora una volta sconfitta nella Battaglia delle Gravelinghe. Nel 1559, il re di Francia, Enrico II, accettò di stipulare il trattato di Cateau-Cambrésis con il quale riconosceva il dominio spagnolo sulla Franca Contea e sui domini italiani (Ducato di Milano, Regno di Napoli, Sicilia, Sardegna, Presidi) e implicitamente la situazione di soggezione più o meno diretta di tutti gli altri principati italiani, salvo la Repubblica di Venezia e il Papato. Il trattato segnò l'inizio del predominio spagnolo sull'intera Europa occidentale a scapito della Francia la quale ben presto, a seguito della morte di Enrico II per una ferita in un torneo, cadde in un periodo di crisi politica che con lo scoppio delle guerre di religione francesi sarebbe durato per diversi decenni. In realtà anche sulla penisola "il sovrano rimetteva tutto, sino al minimo dettaglio, ai suoi Consigli e ai suoi consiglieri. Non prese mai decisioni basandosi solo sulle proprie opinioni o preferenze. Le decisioni sull'Italia venivano prese sempre insieme al cardinal Granvelle e a Mateo Vasquez, quest'ultimo esercitava una sorta di controllo esclusivo sugli affari della penisola".

Altro fronte caldo fu il Mediterraneo dove il potere crescente dell'Impero ottomano minava la stabilità dell'Impero spagnolo. Infatti, nel 1558, l'ammiraglio turco Piyale Pascià conquistò le Isole Baleari infliggendo gravi danni su Minorca e riducendo la popolazione in schiavitù per poi razziare le coste spagnole. A questo punto Filippo II fece appello al Papa e a tutte le altre potenze mediterranee di unirsi in un'unica coalizione per contenere definitivamente il pericolo turco. Dal dominio siciliano prese il via la politica di conflitto con i turchi e i corsari musulmani con una "militarizzazione" dell'isola portata avanti da viceré dalle spiccate attitudini militari che costruirono torri d'avvistamento, mura intorno alle città progettate secondo i principi della fortificazione alla moderna, cittadelle a difesa di porti e punti nevralgici.

Nel 1560 Filippo II organizzò la Lega Santa, tra la Spagna, la Repubblica di Venezia, la Repubblica di Genova, lo Stato Pontificio, il Ducato di Savoia e i Cavalieri di Malta armando una flotta congiunta di 200 navi (60 galee e 140 navi minori) a Messina con lo scopo di trasportare oltre 30.000 soldati; il comando fu affidato a Giovanni Andrea Doria, nipote del celebre ammiraglio genovese Andrea Doria. Il 12 marzo 1560 la Lega Santa catturò l'isola di Gerba in ottima posizione strategica e in grado di controllare le rotte marittime tra Algeri e Tripoli. Come risposta, Solimano il Magnifico inviò una flotta ottomana di 120 navi sotto il comando di Piyale Pascià. La flotta turca, giunta in posizione il 9 maggio 1560 attaccò quella della lega ottenendo, dopo una battaglia di tre giorni, un clamoroso successo (anche per via dell'arrivo di rinforzi al comando di Turgut Reis). Nello scontro, la Lega Santa perse 60 navi e 20.000 uomini, Giovanni Andrea Doria poté a malapena fuggire con una piccola imbarcazione mentre gli ottomani ripresero la Rocca di Gerba. Nel 1565 gli Ottomani inviarono una poderosa spedizione allo scopo di conquistare Malta ma il grande assedio dell'isola fu un completo fallimento anche per via dei soccorsi inviati da Filippo II agli assediati. Nel 1570 i Turchi attaccarono l'isola di Cipro ponendo sotto assedio le fortezze veneziane; questo spinse la lega ad agire armando una nuova potente flotta che, affidata al comando del fratellastro di Filippo, Don Giovanni d'Austria al comando della flotta della Lega Santa salpata da Messina, dopo una sosta a Cefalonia, il 7 ottobre 1571 inflisse una sonora sconfitta ai turchi nella Battaglia di Lepanto. Nel 1573, Don Giovanni D'Austria, riprese la città di Tunisi ma la rinnovata flotta turca di 250 galee, guidata da Uluç Ali Reis riconquistò la città dopo un assedio di quaranta giorni. Questo, però, non sminuì l'importanza di Lepanto che segnò la fine della minaccia ottomana e il primo segnale di indebolimento dell'impero turco che nel 1585 firmò un trattato di pace con la Spagna e le altre potenze cristiane.

Negli ultimi anni Filippo II soffrì un lento e costante deterioramento delle sue condizioni di salute a causa di un cancro che lo portò alla morte il 13 settembre del 1598 dopo 52 giorni di agonia in cui soffrì una costante febbre, idropisia e gotta. Gli succedette il figlio ultimogenito, Filippo, con il nome di Filippo III. I Medici celebrarono in San Lorenzo il suo funerale il 10 novembre; Donato dell'Antella soprintendeva alla cerimonia, Vincenzo Pitti scrisse il testo e Ludovico Cardi, detto Cigoli, probabilmente si occupò della scenografia. Si trattò di una cerimonia spettacolare per la quale vennero realizzate, dagli accademici fiorentini, ventiquattro tele a monocromo rappresentanti le gesta del re accompagnate da ricche stoffe nere e oro, emblemi del re, musiche ricercate ed effetti luministici.

Sotto Filippo II, la Spagna raggiunse l'apice della sua potenza ma, nonostante l'enorme rivolo di ricchezze proveniente dall'immenso impero coloniale, non fu in grado di sopprimere il protestantesimo, di reprimere la ribellione olandese o di restaurare il cattolicesimo in Inghilterra. Tale politica estera fu certamente ispirata da un forte zelo religioso che lo portava a considerare la difesa dell'ortodossia cattolica come uno dei suoi principali obbiettivi secondo il principio del cuius regio, eius religio. Per tale motivo adottò un approccio estremamente rigido nei confronti dei ribelli, da lui assimilati ai turchi ottomani, riuscendo peraltro a impedire la diffusione del protestantesimo nei suoi domini in Italia e Spagna e a restaurarlo nelle Fiandre meridionali, l'odierno Belgio. Altrettanto importante fu la sua lotta senza quartiere per la difesa del Mediterraneo dal dominio turco di cui la Battaglia di Lepanto del 1571 ne fu il più fulgido esempio insieme agli aiuti da lui forniti sei anni prima ai maltesi nel Grande assedio di Malta. In politica interna cercò con ogni mezzo di garantire attraverso la fede l'unità del suo vasto impero e a tale scopo intensificò l'operato dell'Inquisizione spagnola, proibì agli studenti lo studio in paesi stranieri o tramite libri vietati dalla censura, fece incarcerare per 17 anni l'arcivescovo di Toledo Bartolomé Carranza per la pubblicazione di alcuni suoi scritti, giudicati dal re, come eccessivamente vicini all'eresia. Eppure, nonostante la rigida atmosfera religiosa, durante il suo regno, fiorirono le arti e la letteratura di cui la Scuola di Salamanca ne fu il più fulgido esempio; Martín Azpilicueta, onorato a Roma da diversi papi, pubblicò il suo Manuale sive Enchiridion Confessariorum et Poenitentium (Roma, 1568), un lungo testo classico nelle scuole e nella pratica ecclesiastica. Francisco Suárez, egregio filosofo e teologo, generalmente considerato come il più grande esponente della scolastica dopo Tommaso d'Aquino poté organizzare non solo in Spagna ma anche a Roma una serie di conferenze e ottenne l'onore della partecipazione del papa Gregorio XIII alla prima di queste. Nel 1588, Luis de Molina pubblicò il suo De liberi arbitrii cum gratiae Donis, divina praescientia, praedestinatione et reprobatione concordia , in cui tentò una presunta conciliazione alternativa tra la onniscienza di Dio con il libero arbitrio umano in una dottrina che poi diverrà nota come Molinismo.