Roberto d'Angiò, detto il Saggio (Santa Maria Capua Vetere, 1277 – Napoli, 16 gennaio 1343), figlio di Carlo II d'Angiò, fu re di Napoli dal 1309 al 1343, re di Sicilia, re titolare di Gerusalemme, duca di Calabria (1296 - 1309) e Conte di Provenza e Forcalquier (1309 - 1343). Nato presso Sant'Erasmo in Capitolio, antichissimo borgo ad oggi ricompreso nel Comune di Santa Maria Capua Vetere, è il figlio quartogenito (terzo maschio) del principe di Salerno e futuro conte d'Angiò e del Maine, conte di Provenza e Forcalquier, re di Napoli e re titolare di Sicilia, principe di Taranto, re d'Albania, principe d'Acaia e re titolare di Gerusalemme, Carlo II d'Angiò detto lo Zoppo e di Maria d'Ungheria (1257 ca. – 25 marzo 1323), figlia del re d'Ungheria, Stefano V ed Elisabetta di Cumania. Fu il nipote del re d'Ungheria, Ladislao IV.
All'età di undici anni, nel corso della guerra del Vespro fu ostaggio, assieme ai fratelli Luigi e Raimondo Berengario, del re Alfonso III d'Aragona, tra il 1288 e il 1295. Dopo la morte del fratello Carlo Martello (1295), Roberto divenne erede al trono di Sicilia. In seguito al Trattato di Anagni ed in cambio della rinuncia di Giacomo II d'Aragona alla Sicilia, il 23 marzo del 1297, a Roma, ne sposò la sorella Jolanda, figlia del re di Aragona Pietro III di Aragona e della regina Costanza di Sicilia, figlia del re di Sicilia Manfredi (quindi nipote dell'imperatore Federico II di Svevia) e di Beatrice di Savoia. Inoltre Jolanda era sorella dei re d'Aragona, Alfonso III d'Aragona, Giacomo II d'Aragona, del re di Sicilia, Federico III di Sicilia e della regina del Portogallo, Santa Elisabetta. Non ci fu però tregua fra le due casate e i baroni siciliani lo avevano rifiutato, ed avevano eletto re il fratello di Giacomo, Federico III d'Aragona. La guerra riprese con violenza e dopo che una flotta aragonese-napoletana aveva riportato la vittoria sui siciliani nel 1299, lo scontro si era spostato in Sicilia, dove i figli di Carlo II lo Zoppo, Roberto col fratello, Filippo I di Taranto, avevano conquistato Catania e cinto d'assedio Messina; Federico però aveva riportato una notevole vittoria, nella piana di Falconara (Trapani), aveva resistito a Messina, facendo prigioniero Filippo, e resisteva in Calabria.
Dopo che il papa Bonifacio VIII, nel 1300, aveva chiamato in aiuto i templari, gli ospitalieri ed i riluttanti Genovesi, la situazione non progredì, fatta eccezione per una nuova brillante vittoria della flotta di Ruggero di Lauria su quella siciliana, il 14 giugno. Infine Bonifacio VIII si rivolse al re di Francia, Filippo IV il Bello, che inviò un esercito al comando del fratello, Carlo di Valois, che, arrivato in Sicilia, nel maggio del 1302, bruciando e depredando, l'attraversò sino a Sciacca, dove però arrivò distrutto dalla malaria e per la paura di un deciso attacco da parte di Federico, gli offrì la pace. La guerra dei Vespri Siciliani terminò con la pace di Caltabellotta, del 30 agosto, che portò alla definitiva separazione della Sicilia dal Regno di Napoli e gli Angioini persero definitivamente l'isola.
Dopo la morte di papa Benedetto XI, Roberto fu eletto capitano della lega Toscana, che avrebbe dovuto pacificare i guelfi della Toscana, in lotta tra loro (guerra tra Bianchi e Neri). Roberto giunse in Toscana, nella primavera del 1305, con cavalieri scelti aragonesi e catalani e la fanteria capitanata da Diego de Rat e, il 20 maggio, Pistoia, governata dai Bianchi fu circondata da fiorentini e lucchesi. Ma Roberto che si apprestava ad assaltare la città per conquistarla dovette ritirarsi per l'opposizione del nuovo Papa Clemente V, ossia il guascone Bertrando di Got, suddito del re d'Inghilterra, eletto il 5 giugno, il quale continuò la politica del suo predecessore: una neutralità leggermente favorevole a Bianchi e Ghibellini. Alla morte del padre, nel 1309, divenne re di Napoli consacrato incoronato, a Lione, da Clemente V e da allora fu personaggio importantissimo della vita politica italiana.
Per agevolare la riconciliazione tra guelfi e ghibellini, Clemente V appoggiò il vecchio piano di ricostituire il regno di Arles (questo Stato, che era stato incorporato nell'impero dall'imperatore d'Occidente, Corrado il Salico, nel 1035 circa, si estendeva su un territorio, poi diviso tra contea di Provenza, contea di Forcalquier, marchesato di Provenza, ducato di Borgogna e una parte della Franca Contea), mettendo in contatto i capi delle due fazioni, Roberto il Saggio e il nuovo imperatore, Arrigo VII. Il piano prevedeva che il regno di Arles fosse ceduto dall'imperatore a uno dei due figli di Roberto (ciò perché nel 1257 il nonno di Roberto, Carlo I d'Angiò, aveva acquisito i diritti al trono del regno di Arles), il quale avrebbe sposato una delle due figlie di Arrigo. Il piano però fallì, oltre che per l'opposizione di vari feudatari provenzali e borgognoni, anche per la fiera opposizione del re di Francia, Filippo il Bello, che, mal sopportando l'instaurazione di un regno dei cugini angioini nel sud-est della Francia, fece molte pressioni sulla corte papale di Avignone, cosicché Clemente V ritirò l'appoggio al progetto, che, senza la sua approvazione, fu tacitamente lasciato cadere. Comunque, vicario del papa in Romagna, dal 1310, Roberto fu alla testa dei guelfi, che si opponevano ad Arrigo VII (1311-1313), che nel 1312 occupò Roma; Roberto, pur non opponendosi apertamente all'imperatore, aveva inviato a Roma il proprio fratello, Giovanni di Gravina, con 400 cavalieri per contrastare l'ingresso di Enrico nell'Urbe. Arrigo VII, lasciata Roma per sottomettere la Toscana, convocò una dieta a Pisa, a cui Roberto non si presentò e fu dichiarato ribelle, meritevole della morte dall'imperatore, che si accordò con Federico III per conquistare il regno di Napoli. Ma mentre si dirigeva verso Roma, per poi invadere il regno di Napoli, a Buonconvento, fu colto da forti febbri malariche che lo portarono alla morte improvvisamente, il 24 agosto 1313. Dopo la morte di Enrico i suoi sostenitori, i Guelfi, lo definirono «buon Roberto re di un italico regno». La guerra, interrotta dalla morte di Enrico, proseguì contro i ghibellini Matteo Visconti e Cangrande della Scala. Già in possesso di vasti possedimenti in Piemonte, Roberto estese ulteriormente la propria influenza nella penisola: nel 1317 fu nominato dal papa senatore di Roma, nel 1318 divenne signore di Genova - di cui detenne la signoria sino al 1334, e nel 1319 di Brescia. In Toscana però i Guelfi da lui guidati subirono due gravi disfatte: a Montecatini (il comando dell'esercito era stato affidato a suo fratello, Filippo I di Taranto), il 29 agosto 1315 e ad Altopascio, il 23 settembre 1325, mentre i Bolognesi furono sconfitti a Zappolino, il 25 novembre dello stesso anno quando suo figlio Carlo, Duca di Calabria fu proclamato signore di Firenze e per tre anni guidò i guelfi nelle lotte contro i ghibellini.
Nel 1328 si oppose a Ludovico il Bavaro e nel 1330 si unì alla lega contro Giovanni I di Boemia, che fu costretto a lasciare l'Italia settentrionale. L'egemonia sull'Italia del sovrano angioino fu logorata tuttavia dagli sforzi per impedire l'ascesa al trono di Sicilia a Pietro II, figlio di Federico III d'Aragona. Francescano come la moglie Sancha d'Aragona, contribuì in modo determinante al riconoscimento da parte mussulmana del diritto della Custodia di Terra Santa di officiare presso il Santo Sepolcro e risiedere al Santo Cenacolo.
Intervenne militarmente in Piemonte nel 1341 per sostenere Manfredo V di Saluzzo contro il nipote Tommaso II: durante questa spedizione militare le milizie angioine saccheggiarono Saluzzo, che venne data alle fiamme. Sconfitto il suo viceré Reforza d'Angoult nella battaglia di Gamenario del 1345, egli dovette ridimensionare le sue mire sul Piemonte. Tornato a Napoli le sue costanti preoccupazioni furono riacquistare la Sicilia e assicurare la successione dinastica, gravemente compromessa alla morte prematura del figlio ed erede Carlo, Duca di Calabria, che aveva lasciato soltanto due figlie, Giovanna d'Angiò e Maria di Calabria. Ma le guerre siciliane non condussero ad alcun risultato, mentre il disgraziato matrimonio tra la nipote Giovanna e Andrea d'Ungheria, voluto dal re, segnò l'inizio delle vicende burrascose che dovevano segnare la fine della dinastia. Fu ricordato da Petrarca e Boccaccio come colto e generoso mecenate: il Petrarca, che gli dedicò l'Africa, volle addirittura essere esaminato da lui prima dell'incoronazione in Campidoglio (1341).