LA PRIMA GUERRA SANNITICA (343 - 341 a.C.)

I rapporti intercorsi con le colonie greche dell'Italia meridionale e con le popolazioni etrusche durante le lotte che caratterizzarono il V secolo a.C. per il controllo dell'Agro Campano favorirono la crescita sociale e culturale dei Sanniti tanto da incoraggiarli nella ricerca di nuove fonti di guadagno e quindi alla riorganizzazione della loro economia di mercato. Le conseguenze furono l'ampliamento della propria sfera di influenza militare sui territori limitrofi al Sannio, e intorno agli inizi del IV secolo a.C., la frequentazione di nuove aree di scambio dove commerciare manufatti e bestiame ed il controllo di importanti giacimenti metalliferi per la produzione di utensili e soprattutto di armi. Con il tempo furono annesse porzioni sempre maggiori di territori contigui, attuando una vera e propria espansione tramite conquista.

I guerrieri della Lega sannitica non si accontevano di effettuare incursioni al solo scopo di razzia. I Sanniti, avendo bisogno di buoni pascoli per le loro greggi, miravano al controllo del territorio e ad una costante presenza su di esso, operando una vera e propria colonizzazione. Erano particolarmente attratti dalle pianure dell'Apulia, dalla vallata del Liri dominata dai Volsci, e dalla terra più fertile e ricca della Campania.

Indubbiamente i loro vicini li aggredivano per rappresaglia, ma in questi violenti scontri i Sanniti avevano la meglio, parte perchè spinti ad essere piu risoluti e tenaci dalla maggiore necessità e parte perchè, a differenza dei loro vicini, avevano un esercito meglio equipaggiato e più numeroso, con uomini meglio addestrati all'uso delle armi.

Si spinsero ad est, verso l'Apulia, stabilendo il proprio controllo su Luceria che, anche se non proprio sannita, era certamente in termini d'amicizia con essi. Ad ovest, verso la Campania, si insediarono saldamente su entrambe le sponde del medio e alto Volturno: Cubulteria, Trebula e Venafrum, a ovest del fiume, rimasero tutte sannite per gran parte del periodo delle guerre contro Roma. A nord-ovest andarono inoltrandosi sempre più verso il bacino del Liri scontrandosi più volte con gli abitanti Volsci: Atina e Casinum divennero città sannite.

Ciò li portò pericolosamente vicini al Lazio dove alla metà del IV secolo a.C., i Romani avevano acquisito il predominio politico del territorio conquistandolo con le armi e controllando i flussi di gente e mercanzie mediante colonie ed alleanze con cittadine amiche. Le segnalazioni di continue incursioni ben oltre il fiume Liri iniziarono a giungere all'Urbe con regolare ed inquieta cadenza tanto da spingere le autorità ad inviare osservatori. Prima o poi lo scontro tra i due popoli doveva inevitabilmente accadere.

I Romani, dal canto loro avevano già subito l'onta dei Celti e del loro capo Brenno ("Vae victis" - 386 a.C.), uscendo da quella situazione solo con diplomazia e molto denaro. In seguito a questo avvenimento assunsero come priorità assoluta il controllo dei territori e delle popolazioni stanzianti limitrofe Roma. A nord i continui tafferugli con gli Etruschi davano loro filo da torcere ma erano controllabili, a sud i Volsci ed altre popolazioni latine erano state più volte ridimensionate nelle loro mire di autonomia tanto da averle indebolite drasticamente. Si aprivano così per i Romani i territori delle fertili pianure sia del fiume Liri sia, più a sud, della Campania, esattamente verso la direttrice di espansione dei Sanniti.

Per ambedue i popoli l'area del medio Liri divenne di importanza cruciale e fu nel contendersi quest'area che iniziò la grande lotta per la supremazia sull'Italia. Erano in gioco necessità fondamentali, oltre ai fertili terreni ed alle risorse minerarie, anche la libertà di entrambi i popoli. Lo scontro con i Romani fu dunque inevitabile ma ambedue i contendenti si resero conto subito della consistenza belligera dell'avversario e l'approccio sbagliato al problema. Sicuramente, dopo le prime battaglie, entrarono in azione più le parole che le armi, essendo coscienti del fatto che combattendo tra di loro indebolivano le rispettive difese contro gli attacchi di altre popolazioni italiche, così, nel 354 a.C., fu stipulato un trattato tra i Sanniti ed i Romani dove venivano sanciti i termini di una pace che delimitava le aree territoriali dei due popoli.

Ovviamente si trattava di un accordo tra due poteri della stessa statura e fu il primo trattato firmato dai Romani con un popolo al di fuori del territorio laziale. Il trattato, più che altro un compromesso, fu discusso dagli emissari dei due popoli e sanciva per ambedue sia diritti che obblighi e quindi, oltre a delimitare le rispettive aree territoriali di influenza, ne individuava anche il loro limite fisico come il fiume Liri. Per molto tempo il patto fu rispettato, forse per più di dieci anni, in questo lasso di tempo ambedue i popoli si spinsero verso il medio Liri senza mai oltrepassarlo, ma i Sanniti rafforzarono la propria presenza nei territori campani la cui area pur se non compresa nel trattato era comunque situata dalla parte del fiume Liri di loro competenza.

I Romani iniziarono a temere questo controllo sannita su territori così vasti e ricchi di risorse naturali tanto da meditare un intervento armato, ma ciò significava infrangere un patto consacrato agli Dei e per le credenze dell'epoca era un passo da ponderare seriamente, per non rompere la pace siglata aspettarono di trovare il momento propizio ed il modo adatto per non attirarsi la collera divina. La Campania settentrionale divenne quindi il nuovo pomo della discordia ed ai Romani si presentò presto un avvenimento che permise loro di oltrepassare i limiti del Liri sanciti dal trattato di pace senza infrangerlo.

Nel 343 a.C. i Sanniti si trovarono a contatto con i Sidicini, gente di lingua osca che popolava il territorio di Teanum sul confine occidentale del Sannio e che purtroppo occupava una zona cruciale per le loro mire espansionistiche. Infatti la zona dei Sidicini si trovava sulla direttrice naturale di penetrazione che dal Sannio conduceva in Campania settentrionale per cui era importante assumerne il controllo. I Sidicini invocarono l'aiuto dei Campani, cioè proprio di quelle genti che gli stessi Sanniti in passato avevano aiutato a rivendicare una propria autonomia sostenendoli nella lotta di liberazione dal giogo dei colonizzatori etruschi e che in seguito si erano organizzati in una Lega controllata dalla città di Capua.

Ai Sanniti non piacque l'intromissione dei Campani e mossero loro contro, conquistando tutti i territori intorno alla città di Capua. A quel punto secondo Tito Livio, i Campani chiesero l'intervento di Roma che si fingeva restia ad intervenire per non infrangere il patto siglato. In effetti la zona dove si svolsero questi avvenimenti era nel territorio spettante al controllo dei Sanniti a sud del fiume Liri come stabilito dal trattato del 354. Ma Roma consapevole che mantener fede a quel trattato significava far crescere una potenza militare capace di minacciare le proprie mura cittadine, intervenne in aiuto dei Campani inviando l'esercito a Capua. Più che altro furono le famiglie senatoriali romane a spingere verso l'interventismo allettate dall'accaparramento di quelle fertili terre.

Lo stratagemma che infranse il patto romano-sannitico fu quello di concedere la cittadinanza romana ai capuani. I Sanniti dall'altra parte non potevano tollerare che i Campani, e quindi i Sidicini passassero sotto l'influenza romana. La contesa tra le due potenze sfociò subito in guerra. Dopo una prima serie di vittorie romane come quella al monte Gauro, vicino Napoli, ed a Suessula, i Sanniti con grande audacia riuscirono a controbattere ed a far ripiegare le forze nemiche quasi al di fuori dei territori della Campania settentrionale.

In seguito, dopo il tributo di sangue versato in due anni di guerra, ambedue le forze antagoniste si resero conto che la questione doveva essere risolta in modo diverso dalla guerra, visti i continui e ripetuti attacchi di altre popolazioni italiche da dover fronteggiare ambedue per proprio conto. Così ripristinarono il trattato del 354 con alcune modifiche che portarono la Campania settentrionale sotto l'influenza di Roma, lasciando ai Sanniti le terre dei Sidicini e quindi l'importante controllo delle vie d'accesso alla stessa Campania.

Anche se per i Romani rimaneva aperto, per i collegamenti con i territori del meridione solo l'accesso costiero di Terracina, il ripristino dell'intesa romano-sannitica permise a Roma di sistemare le velleità di ribellione scaturite in seno ad alcune popolazioni latine ed etrusche, evitando così di dover combattere su più fronti.
Analizzando questi avvenimenti, possiamo sicuramente affermare che di necessità si fece virtù e che comunque anche questa volta si trattò di un "foedus aequum" (trattato equo), stipulato tra eguali. E' da sottolineare che le condizioni imposero la rinuncia romana alla difesa del popolo per il quale la guerra era iniziata ed il conseguente abbandono di un'area strategicamente importante per i contatti con il sud della penisola.

Purtroppo la ratifica del rinnovato trattato anche se procurò una lunga pace tra i due popoli, diminuì sensibilmente la potenza d'intervento dei Sanniti, compromessa dall'ampliamento della sfera d'influenza romana su di un territorio ormai tanto vasto da rivaleggiare con quello originario del Lazio. Infatti il controllo romano di quelle terre apportò nuove braccia e tributi a Roma che inevitabilmente si tradussero in un accrescimento sia demografico che militare e quindi economico. Le mire espansionistiche di Roma volgevano ormai essenzialmente al sud. Poco tempo dopo la ratifica del trattato iniziarono le annessioni con il sistema delle "colonie latine", cioè agglomerati urbani sotto controllo romano, coinvolgendo molti insediamenti sia nell'attuale area frusinate che nella Campania occidentale, troppo vicino ai territori storici dei Sanniti.

 

LA SECONDA GUERRA SANNITICA (326 - 304 a.C.)

Quella che viene denominata "seconda Guerra Sannitica" fu un periodo d'armi non del tutto chiaro e descritto confusamente dagli storici romani. Quel che invece era sicuro è che ambedue i popoli erano coscienti all'epoca di rivaleggiare per l'egemonia sull'Italia peninsulare. Dopo gli accordi siglati nel 341 a.C., sia i Sanniti che i Romani attraversarono un periodo di pace ed unione d'intenti, portandoli finanche a combattere insieme contro le popolazioni latine ribelli (Guerra Latina 340-338 a.C.) al nuovo stato delle cose che i due popoli egemonici avevano discusso e convenuto nell'accordo siglato. Anche se avevano combattuto insieme, Romani e Sanniti si temevano vicendevolmente, conoscendo l'uno la forza ed il potere di scontro dell'altro.

Per questo motivo i Romani, consapevoli che l'obiettivo da raggiungere era identico e che l'espandersi verso il sud dell'Italia contrastava gli interessi dei Sanniti, cercarono l'amicizia e l'alleanza di altre popolazioni, tanto da spingersi in profondità nella pianura campana fino alle falde del Vesuvio. Infatti, per neutralizzare la predominanza della colonia sannitica di Teanum in quel territorio fondarono poco distante da questa nel 334 a.C. la colonia latina di Cales.

Inoltre, per rafforzare il controllo nel sud della penisola, strinsero accordi con Alessandro il Molosso (fratello di Olimpia, madre di Alessandro Magno), chiamato da Taranto a succedere ad Archidamo di Sparta. I Sanniti si sentirono accerchiati sempre più da una morsa così ben congegnata tanto che nel 328 a.C. dovettero subire l'onta della fondazione della colonia della nuova Fregellae (vicino l'odierna Ceprano), sulla sponda sinistra del fiume Liri, cioè la sponda che secondo il trattato di pace stipulato tra i due popoli doveva essere di pertinenza esclusiva dei Sanniti. Tentarono più volte per via diplomatica di fermare l'intreccio di nuove alleanze che Roma andava imbastendo per parare eventuali loro minacce ma visti tanti tentativi andati a vuoto, iniziarono anch'essi ad usare la stessa tattica, tessere reti di alleanze per contrastare gl'intenti romani.

In quel periodo si coalizzarono con alcune città della Campania per lo più di lingua osca, come Nuceria, Nola e Napoli. Quest'ultima oltre che osca era principalmente greca ed è quindi da supporre che solo le fazioni osche furono alleate dei Sanniti. Nel 327 a.C. la situazione precipitò con la morte in battaglia di Alessandro il Molosso contro i Lucani. I Sanniti liberatisi da una minaccia che manteneva in costante allerta i loro eserciti nel sud della penisola, una morsa ben stretta da una accorta strategia romana, trasferirono subito parte delle forze militari in area caudina, rafforzando così la loro presenza ed inoltrandosi sempre più frequentemente nel territorio campano. A Napoli intanto la fazione sannita aveva conquistato il potere dell'assise civica ed un esercito di 6000 guerrieri aveva occupato la città.

Ben presto la fazione greca del governo partenopeo entrò in contrasto con gli elementi sanniti, tanto da iniziare ad intrecciare contatti segreti con i Romani. Poco tempo dopo il senato dell'Urbe dietro richiesta proprio della fazione greca, inviò a sud di Roma tutte le truppe che ancora disponeva comandate dai Consoli Lucio Cornelio Lentulo e da Quinto Publilio Filone. Quest'ultimo si attestò nei pressi dell'ager napoletano attendendo il momento propizio per entrare in azione. Infatti, i demarchi napoletani Carilao e Ninfio, i Principes Civitati, con uno stratagemma riuscirono a far allontanare la guarnigione sannita dalla città aprendo così le porte ai Romani. L'altro Console, Cornelio Lentulo, con un'azione di copertura si schierò nella valle del Volturno arginando così ogni possibile aiuto che poteva arrivare dal territorio del Sannio. La guarnigione sannita, accortasi dell'inganno, non potè fare altro che ripiegare, essendo in forte svantaggio numerico.

Nel 326 a.C. Napoli entrò saldamente a far parte della sfera d'influenza romana, siglando con loro un favorevole trattato di alleanza. Quest'azione insieme alla fondazione di Fregellae ed allo stanziamento di un esercito romano nella valle del Volturno a ridosso del territorio sannita, costituirono le cause della rottura dell'antico trattato del 354 a.C. tra i due popoli, lo stesso confermato e riveduto nel 341 a.C. ed il conseguente inizio di una nuova fase di ostilità.

I primi anni di guerra, tra il 326 ed il 322 a.C. passarono tra violente scaramucce e piccoli scontri per attestare le rispettive posizioni, sicuramente nel territorio della Campania settentrionale tra il medio Liri ed il medio Volturno. Nessuno dei due eserciti prevalse nettamente sull'altro.

 

LE FORCHE CAUDINE

Per porre fine a questo periodo di stallo e per cercare una possente vittoria sui Sanniti in modo da piegarli alla resa, anche perché esausti delle tattiche di guerriglia basate sulle incursioni rapide e violente che non davano la possibilità di difendersi adeguatamente, nel 321 a.C. Roma inviò i Consoli Tito Veturio Calvino e Spurio Postumio Albino a capo di un esercito forte di 20.000 uomini nella zona dei Sanniti caudini in modo da tagliare fuori dal conflitto le aree a ridosso della Campania per poi proseguire contro Malies (Benevento) e quindi gli Irpini, così da infliggere una pesante sconfitta ai Sanniti tanto da indurli a chiedere la pace. Di conseguenza ciascun Console guidò la propria legione verso Calatia da dove sarebbero dovuti avanzare insieme verso i Caudini aggirando il versante meridionale del Monte Taburno.

Intanto i Sanniti osservando le mosse delle legioni romane dall'alto delle loro fortificazioni, riuscirono ad intuire quali fossero le intenzioni dei due Consoli romani. Interpretando le descrizioni liviane, la marcia verso Malies fu incentivata dai Sanniti stessi che per allontanare le schiere romane dalla zona di Calatia, travestirono alcuni soldati da pastori e li mandarono insieme ai pastori veri con le loro greggi a pascolare nei pressi dell'accampamento romano. Una volta stanziatisi nell'area avrebbero fatto circolare la falsa voce che Luceria era stata presa d'assedio dai Sanniti e che entro pochi giorni sarebbe capitolata. Luceria era all'epoca un caposaldo dell'alleanza romana con gli Apuli da cui dipendeva il controllo di quelle terre.

Subito i due consoli levarono le tende degli accampamenti per marciare in aiuto alla cittadina assediata scegliendo di percorrere un itinerario imprudente ma più corto rispetto a quello più sicuro, in questo modo la marcia sarebbe risultata più spedita ed i tempi di percorrenza sarebbero stati dimezzati. Questo tragitto prevedeva l'attraversamento di terreni acquitrinosi e di una stretta gola dalle pareti irte e boscose che li avrebbe portati subito nei pressi di Malies per poi procedere in direzione di Luceria.

A capo della Lega Sannitica vi era in quel periodo un "Meddix Tuticus" di grande arguzia militare, Gavio Ponzio che subito collocò l'esercito sannita nei pressi di quella gola posta lungo l'asse di spostamento dei Romani bloccandone l'uscita verso Caudium con massi ed alberi divelti. Quando entrambe le legioni vi furono entrate, Ponzio ne ostruì anche lo stretto ingresso dalla parte di Calatia. I Romani si accorsero della trappola solo quando videro l'uscita della vallata bloccata e tutte le alture circostanti presidiate dai Sanniti.

Infatti, per pura negligenza o per troppa fiducia nelle proprie forze, l'avanguardia e la retroguardia romana si accorsero in ritardo che le uscite dalla gola erano state ostruite. E' probabile anche che i due Consoli romani avessero sottovalutato il nemico contro cui dovevano battersi forse perchè ancora troppo giovani e privi di una adeguata esperienza di guerra contro i Sanniti. Lo sgomento fu grande quando, calata la notte, i Romani si videro circondati dai fuochi contigui degli accampamenti nemici, formati dalle "ndocce", una sorta di grandi torce che i Sanniti usavano in caso sia di spostamenti notturni e sia per illuminare gli accampamenti. Per alcuni giorni tentarono di aprirsi la strada combattendo, ma vennero sistematicamente rigettati a valle dalle schiere sannite. Così i due Consoli costatarono che non rimaneva loro altro che la resa. Questa fu la disfatta delle Forche Caudine, una delle più famose ed al tempo stesso delle più elusive negli annali della Repubblica romana. Gavio Ponzio era dell'idea di sterminare le legioni bloccate nella gola in modo da provocare una pesante perdita a Roma in termini di uomini ed armamento e costituire così i presupposti di un periodo di pace, dato che dopo una batosta simile l'Urbe sarebbe sicuramente scesa a più miti consigli.

Ma sia al Meddix sannita che ai suoi uomini più vicini era noto che una volta sterminato il grosso delle forze militari romane, si sarebbero sicuramente ridestati focolai di insurrezione di quelle genti latine soggiogate da ambedue i popoli solo pochi anni addietro e con molta difficoltà.

Alla storia è passato che sia a Gavio Ponzio che ai suoi uomini ripugnava il fatto di dover dare una morte così ignominosa a tanti guerrieri. Chiesero così il parere ad un "grande" del Sannio, Erennio Ponzio, padre di Gavio, famoso e stimato "Meddix Tuticus", amico del matematico Archita (Tiranno di Taranto) e del filosofo Platone. Ormai anziano venne condotto sul luogo e dopo aver visto tale disfatta dei Romani, consigliò al figlio di lasciarli andare poichè tale mortificazione avrebbe lasciato un grande segno nell'animo di quelle genti. L'onta del rilascio ignominioso di due Consoli con le proprie legioni sarebbe stata per Roma una sconfitta maggiore dell'uccisione di tanti guerrieri. Gavio Ponzio esortato anche dai suoi uomini, seguì i consigli del padre e rilasciò i soldati romani dopo averli fatti passare sotto un giogo di lance spogli delle armi e vestiti della sola tunica. A corredo di questo fatto fu stilato tra il Meddix sannita ed i Consoli a nome di Roma, un nuovo trattato di pace che reiterava quello di vent'anni prima infranto dagli stessi Romani. A garanzia della firma e quindi della ratifica del trattato da parte del Senato romano, 600 cavalieri, il fiore della nobile gioventù romana sarebbero stati trattenuti fino al buon esito della vicenda.

I Consoli con le loro legioni ripararono subito in territorio amico, tornando con grande clamore a Roma. Che il trattato sia stato firmato e che gli ostaggi tornarono sani e salvi a Roma si evince dai cinque anni di pace che seguirono le vicende delle Forche Caudine. Il bottino di guerra dei Sanniti fu enorme: oltre l'armamentario di due intere legioni romane con cavalli e carri, anche un trattato di pace molto favorevole. Dovette essere abbastanza arduo per Roma risalire subito la china che tale vicenda impresse, specialmente nell'animo più che nella sostanza.

Ma i Romani fecero tesoro di tale sconfitta migliorando l'equipaggiamento e le tattiche di guerra del proprio esercito. Eliminarono dall'armamento la lunga e pesante lancia adottando il "pilum", una copia migliorata della "saunia" utilizzata dai Sanniti (una corta e leggera lancia) ed il pesante scudo oplitico fece posto al più leggero ovale rastremato nella parte superiore, antesignano dello "scutum". Adottarono le loro tecniche di guerriglia e le contromisure ad esse, sfruttando in modo migliore la cavalleria. Studiarono la loro tattica di scontro in campo aperto e la migliorarono, snellendo le legioni e rendendole più veloci ed incisive.

Sul lato politico molti furono i contatti diplomatici intercorsi tra i Romani e gli Apuli, gli Iapigi e i Messapi e le popolazioni limitrofe ai territori controllati dai Sanniti, con promesse di alleanze economiche, oltre che militari, e con l'esborso di molto oro.

Dopo cinque anni i Romani questa volta più agguerriti che mai, si ripresentarono di nuovo al cospetto dei Sanniti. Anche i Sanniti, dal canto loro, durante la pace caudina si preoccuparono di rafforzare le proprie posizioni. Consolidarono il loro controllo sulla riva sinistra del fiume Liri, quella di loro pertinenza, e prestarono il loro appoggio ai movimenti antiromani che fermentavano nella regione alla destra del fiume. Migliorarono la situazione nella Campania centrale e meridionale controllando Nola, Nuceria Alfaterna, Stabie, Pompei ed Herculaneum. Ebbero contatti diplomatici con gli Etruschi e con le popolazioni limitrofe ai territori nord di Roma. I Sanniti sapevano che il confronto con l'Urbe aveva solo subito una pausa.

 

I cinque anni di "Pace Caudina" servirono ai Romani per riorganizzare l'esercito ma anche per sistemare meglio le difese dell'Urbe e del suo territorio per far fronte ad un eventuale attacco dei Sanniti, cosa che tutti i cittadini temevano. Ma ciò non avvenne perché, in quel periodo storico, ai Sanniti interessava la Campania e le sue fertili terre, per altro molto più vicine al Sannio di quanto lo fosse la pianura romana. Spingersi verso l'Urbe non rientrava, al momento, nelle loro mire espansionistiche.

Tito Livio ha scritto nei suoi "Annales" di una immediata risposta che gli eserciti romani effettuarono contro i Sanniti per ripagarli dell'onta subita alle Forche Caudine. Tutto ciò è scaturito dalla fantasia dell'annalista padovano, un falso storico per non inimicarsi i coevi discendenti di quegli antichi consoli (motivi di opportunità), anche perché di questa presunta rappresaglia non se ne trovano tracce sia nella redazione dei Fasti Consolari sia negli scritti di altri storici ed annalisti che narrarono queste vicende. E' vero invece che i Romani aumentarono l'attività diplomatica tessendo reti fatte di alleanze e compiacenze proprio a ridosso dei territori sannitici tanto che, prima del 316 a.C. alcune cittadine sia apule che peligne entrarono nella loro sfera d'influenza, permettendo così a Roma di mantenere un corridoio aperto verso l'Adriatico. In questo stesso periodo gli eserciti consolari dovettero fronteggiare una violenta ribellione dei Volsci, insorti contro la decisione di inviare coloni dall'Urbe nella loro città di Satricum ed in altri insediamenti di loro pertinenza situati nei territori del fiume Liri. I Romani dovettero fare affidamento a tutto il loro sangue freddo per intervenire con l'esercito in una zona come quella del Liri fortemente presidiata dai Sanniti.

I Sanniti non si fecero sfuggire l'occasione. Subito inviarono truppe in aiuto dei loro coloni nella valle del Liri ed attaccarono Plistica, altra comunità filoromana ubicata nello stesso territorio. La seconda Guerra Sannitica era ripresa.

Il fronte del 315 a.C. si rivelò troppo dispersivo per le forze romane. Gli eserciti consolari erano impegnati con Papirio Cursore in Apulia, Publilio Filone in Campania e Quinto Fabio Rulliano a Satricum e nella valle del Liri. Sia in Apulia che a Satricum i romani ebbero la meglio ma in Campania i Sanniti sconfissero l'esercito di Publilio Filone e puntarono a nord verso il Lazio. A capo di questo esercito meddicheo vi era Gavio Ponzio, l'eroe delle Forche Caudine.

Avvertito della disfatta di Filone, Quinto Fabio Rulliano che era il più vicino per intercettare l'esercito sannita dovette assumersi l'arduo compito di fermare le schiere di Gavio Ponzio. Il Console Rulliano decise così di tagliare la strada al "Meddix", impedendogli di risalire il Lazio e per questo motivo si preoccupò di presidiare il percorso più interno alla penisola (quello che in seguito divenne la Via Latina), lasciando che il suo "Magister Equitum" Quinto Aulio Cerretano presidiasse il percorso costiero (quello che in seguito divenne la Via Appia) accampandosi presso Tarracina (Terracina), in seguito definite le Termopili d'Italia.

Gavio Ponzio raggiunse la zona settentrionale della pianura campana molto rapidamente e dovette decidere se puntare subito verso Roma passando per la valle del fiume Sacco oppure chiudere il passaggio ai Romani, precludendogli l'intero sud della penisola presidiando la gola tra i monti Ausoni e gli Aurunci. Il condottiero sannita decise per questa seconda soluzione e si trovò di fronte le schiere di Aulio Cerretano a Lautule (vicino l'odierna Itri). Lo scontro fu lungo ed aspro ed i Sanniti, per lo più gli stessi guerrieri reduci dalle battaglie vittoriose delle Forche Caudine, ebbero la meglio. Lo stesso Aulio Cerretano cadde durante il combattimento. Con questa vittoria i Sanniti tagliarono in due il Lazio. Subito dopo Gavio Ponzio ed il suo esercito si spostarono verso i territori settentrionali prossimi a Roma, mettendo a ferro e fuoco molte città del Lazio ed arrivando fino ad Ardea.

Nel frattempo gli ambasciatori sanniti fecero opera di persuazione nei territori meridionali, convincendo gli Aurunci ed i Campani ad insorgere contro i Romani. Quinto Fabio Rulliano, dopo la disfatta di Lautule, si era precipitato a Roma con l'intero esercito per difenderla, lasciando totalmente sguarnita l'intera valle del Liri e, di conseguenza, lasciando campo libero alle schiere dei Sanniti. Un altro grande condottiero del Sannio, Marco Fannio, condusse la campagna del Liri conquistando subito Sora ed altre località a nord del fiume. In conseguenza della vittoriosa campagna del 315 a.C., non fu difficile per i Sanniti far insorgere contro i Romani molte delle popolazioni del centro Italia soggiogate al potere dell'Urbe.

In questo modo ogni contatto con l'Apulia e con le altre forze militari presenti in quei luoghi fu interdetto a Roma che intanto, temeva per un possibile assedio sannita sotto le sue mura. Gli eserciti consolari presidiarono subito tutti i passaggi ed i varchi che conducevano alla città. I Sanniti dal canto loro, cercarono di coinvolgere gli Etruschi ad attaccare il Lazio da nord ma senza successo. Seguì un periodo cesellato di piccoli scontri con cui i Sanniti si attestarono meglio nel sud del Lazio.

A Roma come sempre nei periodi di estremo pericolo per la Repubblica, vennero indette nuove elezioni per rafforzare il potere politico e militare. Caio Menio, Peteio Libone, Quinto Fabio Massimo Rulliano e Caio Sulpicio Longo furono gli uomini che condussero le operazioni militari e riorganizzarono le difese della città. Rafforzarono i loro eserciti e si prepararono agli scontri con i Sanniti. In quel periodo però, accaddero alcuni episodi che distolsero i Sanniti nel perpetuare le azioni di guerra nei territori del Lazio meridionale. Le forze del Sannio schierate nel sud dell'Italia si trovarono di colpo sotto pressione a causa di uno dei tanti mercenari provenienti dalle altre sponde dell'Adriatico. Acrotato, figlio del re di Sparta, invitato da Siracusa e da altre città siciliane per scacciare il tiranno Agatocle, si era fermato a Taranto impensierendo non poco le schiere sannite. Temendo che i Romani e le loro forze che ancora stanziavano in Apulia potessero coinvolgere il condottiero Agatocle contro i loro insediamenti, i Sanniti sguarnirono di forze il basso Lazio per arginare l'eventuale attacco dal meridione da parte dell'Urbe e del suo nuovo alleato. L'esercito di Gavio Ponzio si spostò quindi a sud lasciando alle forze di Marco Fannio il controllo del territorio laziale.

A quel punto i Romani, approfittando dell'inaspettato impoverimento delle forze sannite, organizzarono una controffensiva nel tentativo di conquistare di nuovo le posizioni perdute nel Lazio meridionale. Mentre Caio Menio controllava la situazione a Roma, i Consoli Quinto Fabio Massimo Rulliano e Caio Sulpicio Longo riunirono gli eserciti ed attaccarono le forze sannite a Terracina, sbaragliando la guarnigione e proseguendo verso i territori degli Aurunci e degli Ausoni, facendo pagar cara la loro rivolta contro l'Urbe massacrando l'intera popolazione.

Nel 313 a.C. gli eserciti consolari comandati sempre da Quinto Fabio Massimo Rulliano ma con Caio Giunio Bruto al suo fianco, riconquistarono Fraegelle ed il territorio del Liri, spingendosi oltre e conquistando Cales, Calatia, Atella, fino a Saticula e Nola. Per presidiare il territorio riconquistato dell'Ager Romanus e della Campania Settentrionale, i Romani istituirono le nuove colonie di Suessa e Saticula, quest'ultima un tempo sannita.

Nel 312 a.C. il Console Marco Valerio Massimo riconquistò Sora ed insediò ad Interamna Lirenas, nei pressi della confluenza del fiume Liri con il fiume Gari (che insieme formano il fiume Garigliano), una colonia latina. Consolidate ormai le posizioni, i Romani iniziarono un lungo riesamine della sitazione che aveva portato la Repubblica ai limiti della catastrofe. Furono messi sotto accusa i Patrizi che avevano auspicato prima ed appoggiato poi l'espansione verso sud con l'inevitabile scontro con i Sanniti. Caddero molte teste tra le quali quella del Console Caio Menio.

Alla fine del 312 a.C. gli Etruschi, convinti della debolezza che le guerre contro i Sanniti avevano apportato all'intero apparato bellico romano, scesero in guerra aprendo così un altro fronte che gli eserciti consolari ebbero difficoltà a difendere.La guerra si prolungò per diverso tempo, con scontri anche molto cruenti tra i due schieramenti fino a quando, nel 310 a.C. Quinto Fabio Massimo Rulliano accerchiò le milizie etrusche e con la tattica dei manipoli imparata dai Sanniti, sbaragliò le falangi nemiche annientandone così l'intero esercito.

Nello stesso periodo i Sanniti sferrarono un pesante attacco in Apulia contro i Romani e questi per alleggerire la pressione su quel campo di battaglia aprendo un nuovo fronte, inviarono un intero esercito con a capo il Console Caio Marcio Rutilo nel Sannio occidentale. Ma ad Allifae le forze romane ebbero un pesante crollo e dovettero attestarsi e fortificarsi aspettando aiuti esterni. A trarre d'impaccio Rutilo accorse l'amico Lucio Papirio Cursore che con una veloce azione riuscì a salvare l'esercito arroccato riparando subito nel Lazio.

Per tre anni cioè fino al 307 a.C. gli eserciti dei due popoli si affrontarono con fasi di gloria alterne e senza che nulla di importante fosse realmente condotto a termine. Intanto tra le schiere sannite cominciava a farsi strada un giovane condottiero di eccezionale abilità, Stazio Gellio, che dimostrò subito il suo talento militare adottando per la difesa, la strategia dei Tratturi. Infatti riusciva a presidiare qualsiasi luogo del Sannio facendo percorrere agli eserciti meddìchei i percorsi tratturali utilizzati per la transumanza, che attraversavano il territorio in lungo ed in largo e che univano tutti i luoghi abitati sanniti, anche i più lontani.

Nel 306 a.C. i Sanniti al comando di Stazio Gellio, con una grande azione di forza riconquistarono Calatia, Nola ed altre città campane. Altre forze sannite oltrepassarono il Liri e riconquistarono Sora spingendosi di nuovo verso Roma. Con un'abile mossa diplomatica riuscìrono ad occupare le città di Anagna (Anagni) e Frusino (Frosinone) facendo anche insorgere alcune fazioni filosannitiche degli Equi. Roma si trovò così di nuovo sull'orlo del panico nel dover affrontare, per l'ennesima volta, il timore di un attacco sannita sotto le sue mura. Il Console Quinto Marcio Tremulo organizzò le difese esterne dell'Urbe insediando un forte esercito nella valle del fiume Sacco e sedando con le armi gli spiriti antiromani delle cittadine vicino Roma conquistate dai Sanniti. Un altro Console, Publio Cornelio Arvina, si attestò nella Campania settentrionale riconquistando Calatia e tenendo sotto controllo l'intero territorio.

Nel 305 a.C. i Sanniti tentarono l'impresa di riconquistare il "Campus Stellatis", nel territorio campano settentrionale sotto il controllo dei Romani. I loro spostamenti furono però rivelati da elementi infiltrati da Roma nel territorio a ridosso del confine con il Sannio, un metodo che i Romani iniziarono ad utilizzare per venir subito a conoscenza dei diversi spostamenti militari avversari. Ormai Roma aveva disseminato le aree di confine prossime al Sannio di colonie latine che partecipavano attivamente al controllo del territorio. I Sanniti furono infatti sbaragliati dagli eserciti consolari di Lucio Postumio Megello e di Tiberio Minucio Augurino con l'aiuto degli abitanti di Saticula, Suessa Aurunca, Cales e forse Interamna Lirenas. Nel frattempo i due Consoli romani, dopo lo scontro con le forze sannite erano venuti a conoscenza che il Meddix Stazio Gellio si era ritirato a Bovianum con il grosso del suo esercito. Partendo dalla zona dell'attuale Teano, Minucio e Postumio penetrarono nel Sannio dalla parte del versante sud del Matese ma con percorsi diversi, ponendo sempre gli accampamenti a breve distanza tra loro.

Minucio dopo essersi addentrato nella valle del Lete e dopo aver proseguito in direzione di Bovianum passando per Letino ed il Lago del Matese fino a Sella Perrone, affrontò le difese sannite poste a guardia dello stretto passaggio che conduceva verso la pianura dove era ubicata la capitale pentra. Le schiere di Bovianum difesero strenuamente l'impervia gola naturale, aiutati anche dalle truppe di Stazio Gellio. Nella battaglia morirono ambedue i comandanti, sia il Console romano Tiberio Minucio sia il Meddix sannita Stazio Gellio. Il comando dell'esercito romano e delle operazioni in quella zona venne rilevato dal Console Marco Fulvio Curvo Petino.

Postumio si scontrò con le forze nemiche presso Tifernum (forse l'odierna Faicchio). Ambedue i Consoli ebbero la meglio sulle schiere sannite e puntarono verso Bovianum cingendola d'assedio. Nello stesso momento altri contingenti romani mossero nel Sannio settentrionale riuscendo a riconquistare Sora ed Arpinum penetrando a fondo nel territorio e minacciando così Venafrum, Aquilonia ed Aesernia. Nel frattempo i Consoli Petino e Postumio, ricevute notizie delle vittorie ottenute dagli eserciti romani nel nord del Sannio, forzarono l'assedio a Bovianum riuscendo ad avere la meglio sulle forze dei Sanniti pentri. Gli scontri tra i due eserciti furono molto duri ma alla fine il Console Marco Fulvio Curvo Petino entrò trionfante in Bovianum.

Decapitati del comando e delle forze migliori, con la capitale Bovianum depredata e distrutta, i Sanniti poco tempo dopo nel 304 a.C. scesero a più miti consigli con i Romani, sottoscrivendo il solito trattato di pace discusso con i "Fetiales" che Roma gli aveva proposto. Essi erano anche allarmati per la situazione nel sud del Sannio, dove si profilava la minaccia dell'ennesimo condottiero mercenario d'oltre Adriatico, Cleonimo di Sparta che arrivava chiamato da Taranto.

Peraltro anche i Romani premevano per un trattato di pace con i Sanniti, esausti dopo così tanti anni di cruente battaglie. Erano però consapevoli che tutte le roccaforti sannite erano rimaste intatte come quasi del tutto intatto era rimasto l'intero territorio del Sannio. Avevano infierito sui vertici di comando ma non sull'animo e tantomeno sulla forza dei Sanniti.

Anche se fortemente voluta dai Romani ed infine sopraggiunta, la pace non sarebbe durata a lungo. Avevano ormai fortificato l'Ager Romano con la costruzione di numerose colonie, costituendo quindi un'insormontabile barriera a difesa dell'Urbe. Ma di fronte avevano i Sanniti, quelli che più volte erano arrivati fin quasi sotto le mura di Roma, quelli da cui avevano imparato l'arte della guerra moderna, della nuova tattica della cavalleria, dei manipoli, delle azioni veloci e sfuggenti, della lotta corpo a corpo con le diverse armi corte. I Romani non potevano fidarsi dei Sanniti, ed i Sanniti non sopportavano la morsa in cui i Romani li stavano chiudendo. Con la stipula del trattato di pace, i Sanniti perdevano l'intera valle del Liri, ogni possibile controllo su tutta la Campania e su metà del territorio dei Caudini.

Subito dopo la stipula del trattato di pace i Romani rafforzarono i controlli su molte aree a ridosso del confine con il Sannio, come per Atina che, seppure ancora sannita ed assorta nel lavoro di estrazione del ferro dalle montagne della Meta, aveva guarnigioni romane disseminate nel suo territorio. Comunque il cuore del Sannio era salvo, il territorio tra i monti delle Mainarde e la pianura di Malies (Benevento) era rimasto intatto, la capitale Bovianum era stata riconsegnata ai cittadini sanniti. Deve essere stato con un misto di frustrazione, timori e calcolo che i Sanniti conclusero la pace nel 304 a.C. diventando ancora una volta "amici" di Roma.

 

LA TERZA GUERRA SANNITICA (298 - 290 a.C.)

Dopo tanti anni di guerra e di cruenti scontri che videro entrambi gli schieramenti lottare strenuamente, sia i Sanniti che i Romani non si attendevano una lunga tregua d'armi. Ambedue conoscevano ormai il modo di agire l'uno dell'altro. I Sanniti erano consapevoli che il nemico poteva essere battuto solo se impegnato su più fronti in modo da dividerne le forze in campo su di un'area più vasta. Per questo motivo cercarono alleanze al nord, nella speranza di coinvolgere tutte quelle popolazioni che non sopportavano il giogo di Roma, mentre quest'ultima creava nuove alleanze per contenere i Sanniti dentro i propri limiti territoriali, cercando nuovi "amici" al di là del Sannio verso l'Adriatico.

Nel 304 a.C. i Romani strinsero accordi con i Marsi, i Peligni ed i Marrucini, riuscendo a coinvolgere in queste alleanze persino i Frentani, una delle comunità storiche dei Sanniti. Due anni dopo anche i Vestini si allearono con Roma. Gli Equi non trattarono nessun accordo. Nemici dei Romani da sempre, ci volle la forza persuasiva delle legioni di Caio Giunio Bruto per sopraffare quell'antico e fiero popolo.

Nel 303 a.C. l'intero territorio a nord della piana del Fucino passò sotto controllo romano. Furono fondate le colonie latine di Alba Fucens e nel 298 a.C. di Carseoli.

Nel primo periodo del III secolo a.C. un'altra minaccia per Roma giunse dal nord dell'Italia: erano i Celti. Oltre che per i Romani, una tale minaccia lo era anche per tutti gli altri popoli a nord del Lazio compresi gli Etruschi. Questi ultimi seppero però sfruttare meglio la situazione stringendo con loro un patto di non belligeranza e con il tempo anche altre popolazioni limitrofe si accordarono allo stesso modo. Anche i Sanniti, temuti dagli stessi Celti entrarono con loro in rapporti amichevoli grazie all'intermediazione delle popolazioni umbre. All'inizio, per lo più, furono solo contatti sporadici tra i vari popoli contrari all'egemonia di Roma ma con il passare del tempo sopraggiunse tra questi una convergenza di idee ed intenti per sottrarsi alla morsa soffocante di Roma.

Venuti a conoscenza degli intendi reconditi delle popolazioni italiche da loro controllate, i Romani iniziarono a temere eventuali sviluppi negativi che queste "comunioni d'idee" potessero comportare, tant'è vero che i suoi Consoli organizzarono parate militari nel sud dell'Etruria proprio per dimostrare a quelle popolazioni la continua e costante presenza delle loro forze belligeranti.

Intanto i Romani, perpetuando nelle loro azioni diplomatiche, stipularono nel 299 a.C. un trattato di alleanza con i Lucani, aiutandoli a sottrarsi dal controllo dei Sanniti. Fu proprio questa la scintilla che provocò l'inizio della terza Guerra Sannitica.
I Romani erano consapevoli della loro potenza militare e, di conseguenza, del fatto che nessuno poteva ormai contrastare il loro dominio sull'intera Italia peninsulare. Forse il trattato con i Lucani fu più un pretesto che un accadimento, anche perché i Sanniti erano ormai chiusi sia al nord che ad est che al sud delle loro terre. Ad ovest c'era il Lazio.

Dal canto loro i Sanniti, per sfuggire alla morsa romana, tentarono l'apertura di un corridoio verso l'Etruria ed i Celtici in modo da mantenere contatti stabili. Nel 298 a.C. il Console Lucio Cornelio Scipione Barbato attaccò i territori meridionali del Sannio, conquistando l'Ager Taurasinus (Taurasia) fra Luceria e Beneventum. Un altro Console, Cneo Fulvio Massimo, attaccò i territori settentrionali del Sannio, cercando di chiudere il corridoio di contatti con le popolazioni del nord. Aufidena cadde sotto il suo assalto e, dopo averla depredata, danneggiò gravemente le opere di difesa, abbattendo gran parte delle sue mura poligonali.

Nel 297 a.C. i Romani si organizzarono per sferrare un grande attacco contro i Sanniti, forse quello decisivo. Elessero così a Consoli due gloriosi comandanti, veterani delle battaglie contro i Sanniti, Quinto Fabio Rulliano III e Publio Decio Mure. I due Consoli spostarono subito gli eserciti verso i confini dei territori nemici, il primo nella valle del Liri a controllo della zona settentrionale del Sannio, l'altro nel territorio di Teanum Apulum, per controllare la zona apula e lucana dei confini sanniti. In quelle terre gli eserciti consolari fecero essenzialmente opera di contenimento e di logoramento, impedendo che si svolgesse la transumanza e devastando le coltivazioni e quindi distruggendo e requisendo i raccolti dei lavori agricoli.

Nel 296 a.C. per rafforzare le opere di contenimento e di controllo del territorio, altri due Consoli furono affiancati a Rulliano e Decio Mure. In Etruria furono inviate due legioni al comando di Appio Claudio Cieco ed in Campania fu inviato Lucio Volumnio Flamma con altre due legioni.

I Sanniti cercarono di contrastare in tutti i modi le vessazioni che i Romani infliggevano alla popolazione. Il loro condottiero Gellio Egnazio, dallo stesso praenomen del condottiero Stazio, Meddix durante la seconda Guerra Sannitica, ma di familia diversa, stava studiando il modo di spezzare l'accerchiamento romano al Sannio in modo da sferrare una controffensiva organizzata insieme ai nuovi alleati Etruschi, Celti ed Umbri. Con un ardito viaggio, eludendo le forze romane che attuavano un capillare controllo del territorio ai confini dell'intero Sannio, portò il grosso delle truppe nel territorio degli Umbri, forse a Perusia (Perugia), dove si incontrò con le schiere Etrusche. Ciò potè avvenire grazie anche alle azioni di disturbo attuate da un altro condottiero sannita, Minazio Staio che utilizzando manipoli di cavalieri mise a ferro e fuoco i territori dei Falerni e degli Aurunci, assaltando e depredando tutti gli insediamenti filoromani dell'area.

Roma, nel tentativo di contrastare questi violenti attacchi e credendo in un'offensiva nemica, spostò parte degli eserciti di Fabio Rulliano dal Liri e di Volumnio Flamma dalla Campania settentrionale nelle aree delle operazioni di Minazio Staio e per avere un maggior controllo di quei territori, trasferì genti dall'Urbe formando il primo nucleo di quelle che diventeranno le colonie di Minturnae e Sinuessa. L'azione di disturbo riuscì a diminuire il livello di controllo nei territori del Sannio settentrionale tanto che le truppe di Gellio Egnazio poterono congiungersi con gli Etruschi, gli Umbri ed i Celti.

Nel momento in cui si accorse della manovra delle forze sannite, Roma ripiombò nel panico assoluto ed il Pretore Publio Sempronio Sofo, per rafforzare le difese della città indisse un arruolamento di massa aperto perfino ai liberti. L'esercito del Console Appio Claudio Cieco schierato a difesa dell'Urbe, venne rafforzato con le schiere prima inviate a fronteggiare Minazio Staio in Campania settentrionale.

Agli inizi del 295 a.C. le forze di ambedue gli schieramenti stavano prendendo posizione ed appariva chiaro che lo scontro sarebbe stato imminente. Il grosso delle truppe sannite era stanziato nei pressi di Perusia, mentre gli alleati Umbri erano ad ovest della stessa città. Gli Etruschi erano stanziati nelle zone a ridosso del loro territorio meridionale, i Celti erano nelle vicinanze del territorio piceno ed i Marsi si preparavano presidiando la loro terra e attendendo l'inizio delle ostilità. Anche alcune popolazioni sabine avverse a Roma si unirono alla coalizione italica nella speranza di affrancarsi dalle pesanti gabelle costrette a versare nelle casse dell'Urbe, tanto che alla fine la lega dei popoli contro Roma potè contare su di un numero di guerrieri che assommava a non meno di 100.000 uomini.

I Romani nel 295 a.C. si avvalsero di tutti gli uomini d'esperienza disponibili. Elessero Consoli i loro condottieri più illustri: Quinto Fabio Rulliano e Publio Decio Mure. Lucio Volumnio Flamma fu nominato Proconsole e Appio Claudio Cieco Pretore. Tre ex Consoli assunsero il comando pretoriano: Lucio Cornelio Scipione Barbato, Fulvio Massimo Centumalio e Lucio Postumio Megello. Roma organizzò sei legioni e forse questa fu la prima volta che si ricorse alla numerazione. Fabio Rulliano ebbe il comando della I e III Legione mentre Decio Mure comandava la V e VI Legione. Appio Claudio Cieco aveva a disposizione la II e la IV Legione. Inoltre si organizzarono altri contingenti forniti loro dagli alleati. In tutto Roma riuscì a schierare più di 100.000 uomini.

Per saggiare la consistenza del nemico, Fabio Rulliano con truppe scelte si addentrò nei territori a nord di Roma lasciando che Decio Mure organizzasse le difese della città, raggiunse le due legioni che erano state poste a guardia di quei territori e ne assunse il comando. Attraversati gli Appennini nella zona di Camerinum, constatò che le forze nemiche erano superiori alle sue aspettative e tramite corrieri avvertì Roma.

I Celti, avvistate le schiere nemiche, si organizzarono per contrastarli, scontrandosi con le truppe di Cornelio Scipione Barbato. Le schiere celtiche inflissero alle forze romane una pesante sconfitta tanto da costringere Rulliano a ritirarsi. Decio Mure e le sue due legioni poste a difesa di Roma furono subito inviate a nord per dare manforte a Rulliano, lasciando che Gneo Fulvio e Lucio Postumio si occupassero della città. Purtroppo l'esito positivo per gli Italici di questo primo scontro non potè essere sfruttato da Gellio Egnazio forse per mancanza di coordinamento tra le schiere della coalizione.

La V e VI Legione comandate da Decio Mure oltrepassarono gli Appennini congiungendosi alla I e III Legione di Fabio Rulliano che lo attendeva nei pressi di Camerinum. Insieme proseguirono verso la zona di Sentinum (l'odierna Sassoferrato, nella valle dell'Esino).
Nello stesso tempo Fulvio Massimo Centumalio e Lucio Postumio si erano spostati verso Clusium e la bassa Etruria mettendo a ferro e fuoco il territorio. Sia gli Etruschi che i Marsi accorsero per scontrarsi con forze nemiche che credevano essere di gran lunga più numerose, invece si trattava di un'azione diversiva attuata allo scopo di spezzare l'unità della potente coalizione. Così le legioni romane di Fabio Rulliano e Decio Mure si trovarono a fronteggiare solo i Sanniti ed i Celti, ingaggiando il combattimento quasi subito.

Decio Mure era alla sinistra delle forze romane ed aveva di fronte i veloci carri da guerra dei Celti. Fabio Rulliano era sulla destra e fronteggiava le truppe scelte dei Sanniti di Gellio Egnazio. Le legioni di Decio Mure furono decimate dai Celti e lo stesso Console morì in combattimento, mentre Fabio Rulliano che combatteva i Sanniti da sempre e conosceva le loro tattiche di guerra, ebbe la meglio sulle schiere nemiche, uccidendo il condottiero Gellio Egnazio. Subito dopo Fabio Rulliano rivolse ciò che rimaneva delle sue legioni in aiuto alle schiere di Decio Mure che, senza coordinamento, stavano per soccombere sotto la spinta dei guerrieri celti. Sorprendendo le truppe nemiche alle spalle, Rulliano sbaragliò non senza difficoltà l'agguerrita compagine.

Gli Etruschi ed i Marsi, dopo aver costatato che quella dei Consoli Centumalio e Postumio era solo un'azione diversiva, tornarono subito indietro per apportare il loro contributo alla battaglia, ma giunsero troppo tardi. Qualunque ne fosse la ragione, la loro assenza dal campo di battaglia si rivelò fatale per l'esito della causa. Inseguiti da tutte le forze romane impegnate nella zona, furono costretti a fuggire ed a rifugiarsi nei rispettivi territori. Anche i Celti superstiti si rifugiarono a nord dell'Etruria ed i Sanniti furono coinvolti in una rovinosa ritirata verso il loro Sannio, contrastati dai Peligni schierati al fianco di Roma.
Nella battaglia di Sentinum, chiamata in seguito la "Battaglia delle Nazioni", persero la vita almeno la metà dei guerrieri impegnati in ambedue gli schieramenti. Il sanguinoso scontro tra i popoli della penisola italiana ebbe vasto eco in tutto il mondo allora conosciuto.

Rifugiatisi tra le loro montagne, i Sanniti dopo Sentino si riorganizzarono per ammortizzare l'inevitabile scontro con gli eserciti di Roma che, in modo inesorabile sarebbero arrivati per "finire il lavoro" e conquistare l'intero territorio. Dal canto suo, Roma era consapevole che quest'occasione non gli sarebbe mai più capitata ed era comunque determinata ad eliminare una volta per tutte, i suoi ormai antichi nemici.

Fino alla fine del 294 a.C. i Sanniti, sempre arroccati tra le montagne appenniniche, cercarono di spezzare quella morsa a cui i Romani avevano costretto l'intera comunità. Una lunga catena di luoghi presidiati dalle legioni romane controllava, questa volta in modo meticoloso il territorio del Sannio. Diverse e repentine furono le incursioni sannite nelle terre dei Falerni e degli Aurunci, solo per saggiare le forze nemiche e cercare di imbastire una strategia difensiva.

La II e IV Legione romana, comandate dal console Volumnio Flamma che si era tenuto fuori dalla battaglia di Sentinum ed a guardia del territorio a sud del Lazio, ebbero scontri cruenti con le schiere sannite tanto che solo con l'aiuto delle legioni di Appio Claudio Cieco, rimpinguate con nuove leve, riuscirono ad evitare una catastrofica disfatta. Oltre ad impegnarsi in opere di contenimento nei territori confinanti con il Sannio, i Romani si prodigarono per annientare le forze ribelli degli Etruschi e degli Umbri che ancora imperversavano nelle rispettive aree di provenienza, chiudendo quel corridoio attraverso cui si erano stabilite le relazioni di alleanza tra i vari popoli italici.

I Sanniti, consapevoli dell'imminente invasione romana dei loro territori, impegnarono tutte le loro forze per difendere dall'assalto finale le loro ultime roccaforti. Prepararono ed organizzarono la dura lotta di posizione mobilitando tutti gli uomini a loro disposizione ed equipaggiarono con nuove "fulgide" armi un corpo speciale di guerrieri, la Legio Linteata. Costituita da uomini vincolati da un giuramento sacro, questa legione aveva il compito di difendere gli ultimi baluardi fortificati sorti a contrastare gli eserciti consolari in quella parte di Sannio ancora libero. Altri gruppi di guerrieri operarono nelle zone di confine e in rapporto alle uccisioni che avvennero in quel periodo direttamente negli accampamenti delle truppe consolari romane poste a controllo del territorio del fiume Liri, dovettero essere nella possibilità di compiere sorprendenti azioni rapide e molto cruenti.

Nel 293 a.C. i Romani riuscirono nel loro intento di soggiogare tutte quelle popolazioni schieratesi con i Sanniti contro di loro durante la "Guerra delle Nazioni", potendo così riorganizzare tutte le loro forze per l'assalto finale al Sannio.

Concordate le linee base dell'azione, il grosso delle forze romane si mosse alla volta del Sannio, sia partendo dalla valle del medio Liri, avendo la loro base ad Intermna Lirenas, sia da Teanum Sidicinum, nella Campania Settentrionale. Le roccaforti sannite di Cominium ed Aquilonia erano l'obiettivo principale, le difese occidentali nell'area di Aesernia dove si era organizzato il grosso della Legio Linteata. Allo stato attuale delle ricerche, non è possibile individuare l'ubicazione di queste fortezze sul territorio del Sannio ma, in relazione alle basi di partenza degli eserciti consolari, si presume che la loro ubicazione fosse nel Sannio nordoccidentale.

Il console Spurio Carvilio Massimo, muovendo da Interamna Lirenas verso nord lungo il fiume Rapido oltrepassò Casinum, invase e saccheggiò la città sannita di Amiternum, devastò la zona di Atina e si fermò nei pressi delle mura di Cominium. Contemporaneamente l'altro console Papirio Cursore, figlio dell'omonimo console che combattè i Sanniti vent'anni prima, mosse dalla Campania settentrionale e oltrepassando il massiccio del Matese, devastò e saccheggiò Duronia e pose in assedio Aquilonia. Avendo così accuratamente sincronizzato le loro azioni, i due consoli si trovarono a circa trenta chilometri l'uno dall'altro, mantenendosi in contatto con messaggeri. Così decisero di attaccare lo stesso giorno, sia contro Cominium che contro Aquilonia. L'esercito di Papirio Cursore si scontrò con le difese imbastite dalla Legio Linteata schierata ad Aquilonia, mentre Carvilio Massimo impegnò a fondo le sue truppe per espugnare Cominium.

Purtroppo gli storici romani non hanno tramandato il nome dei comandanti sanniti, soffermandosi più su aspetti non molto significativi che però concorsero, all'epoca delle redazioni degli annali, ad accrescere la fama delle famiglie dell'Urbe i cui avi parteciparono a queste violente battaglie.

La superiorità numerica dei Romani, unita alle informazioni che i disertori fornirono ai consoli, portò i Sanniti alla disfatta ed all'annientamento della loro Legio Linteata. I combattimenti furono così cruenti che si protrassero per l'intera giornata fino a tarda notte. Alla fine espugnate ambedue le roccaforti, si contarono più di cinquantamila morti lasciati sul campo. I guerrieri superstiti della Legio Linteata trovarono rifugio a Bovianum dove organizzarono un estremo tentativo di difesa.

Quella romana fu una grande vittoria, da cui tanta gloria derivò ai consoli tanto da rendere i loro nomi ricordati dalle generazioni successive. La razzia effettuata nelle città sannitiche espugnate fu tale da permettere a Spurio Carvilio Massimo di erigere sul Campidoglio, una statua di bronzo raffigurante Giove tanto imponente da essere visibile fin dai Colli Albani. Fu un successo tanto decisivo quanto celebrato. L'aver espugnato il sistema di fortificazioni della regione di Aesernia significò l'aver annientato le difese del più cruciale dei confini del Sannio. I consoli decisero di sfruttare così la situazione, rimpinguate le schiere con nuovi rinforzi, Papirio Cursore si spinse nella valle dei Pentri dove, in un attacco particolarmente cruento riuscì a conquistare la roccaforte di Saepinum. Le truppe di Carvilio Massimo si spinsero nel Sannio settentrionale procedendo ad un'azione sistematica di assoggettamento, conquistando Velia, Palumbinum ed Herculaneum, le roccaforti a guardia del territorio di Aufidena. Le azioni degli eserciti romani si conclusero con l'arrivo dell'inverno.

Solo con l'inizio della primavera del 292 a.C. ripresero le attività belliche contro le popolazioni sannitiche ma non senza difficoltà. Il console Fabio Gurgite impegnato contro i Caudini, trovò una dura resistenza da parte delle schiere sannite comandate da Gavio Ponzio e solo l'intervento di Quinto Fabio Rulliano evitò la sopraffazione e l'uccisione dello stesso Gurgite. Durante il sanguinoso scontro, i Sanniti non riuscirono a respingere le rimpinguate schiere dei guerrieri romani organizzati e comandati da ben due consoli che, con netta superiorità di forze apportarono ai nemici gravi perdite. Nell'impeto della battaglia il comandante Gavio Ponzio cadde prigioniero e venne subito tradotto a Roma dove, dopo un breve periodo di detenzione fu giustiziato mediante decapitazione nel Foro dell'Urbe.

Nel 291 a.C. si strinse il cerchio attorno alle superstiti comunità sannite. Due eserciti consolari penetrarono nel Sannio e mentre le schiere di Fabio Gurgite sottomisero le stremate ed impaurite popolazioni nell'area dell'ormai distrutta roccaforte di Saepinum nel territorio del Matese meridionale, conquistando ed occupando anche Cominium Ocritum, l'altro console Postumio Megello, muovendo dall'Apulia, assoggettò le popolazioni irpine conquistando tutte le loro roccaforti ed anche la potente Venusia dove, in breve tempo, venne insediata la più grande colonia latina di cui si ha ricordo.

L'anno successivo furono inviati nel Sannio i consoli Manlio Curio Dentato e l'antenato di Silla, Publio Cornelio Rufino. Con quattro legioni operanti sul territorio, i Romani annientarono qualsiasi tentativo di ribellione o barlume di resistenza ancora in essere, eliminarono tutto ciò che poteva costituire una minaccia al sopraggiungere della nuova organizzazione governativa causando molteplici sofferenze alla popolazione falcidiata ed ormai stremata. Come scrisse Tacito riguardo alla conquista romana della Germania pochi secoli dopo "ne fecero il deserto e lo chiamarono pace".

Nel 290 a.C. si concluse l'epopea delle Guerre contro Roma con la stipula di un nuovo trattato con i sopravvissuti delle decimate comunità sannite che ancora si identificavano in un "popolo" e con il conseguente drastico ridimensionamento dell'intero territorio del Sannio.

 

EPILOGO

Per i Sanniti dovette essere una dura e umiliante esperienza. I metodi brutali usati da Curio Dentato e Cornelio Rufino nella campagna conclusiva non ci vengono descritti, ma ce ne possiamo fare un'idea dalla quantità di bottino e dal numero di prigionieri che ne derivarono. Dalla loro vendita si ricavarono più di tre milioni di libbre di bronzo; ciò consentì allo stato romano di emettere la sua prima serie di monete (il famoso "aes grave") e di dare l'avvio a un sistema monetario che fu rapidamente adottato, se non imposto, in tutta l'Italia centrale. Il saccheggio non fu tutto: è lecito ritenere che sui Sanniti gravò l'onere di fornire alle truppe nemiche cibo e vestiario, dato che requisizioni seguivano regolarmente la guerra, nell'uso dei Romani, che le consideravano il prezzo della cessazione delle ostilità.

I termini del trattato non ci sono noti; Livio usa l'espressione "renovatum est", ma non si può pensare che esso ripetesse le stesse condizioni dei precedenti. Del resto, Livio usa la stessa espressione nel caso dei trattati fra Roma e Cartagine, che sappiamo essere stati diversi fra loro. Dopo tutto, i Sanniti erano stati ridotti alla sottomissione, non avevano negoziato la pace ed è quindi certo che i loro rapporti con Roma dovessero subire un netto cambiamento a loro sfavore. Il territorio del Sannio era stato indubbiamente ridotto, e buona parte delle terre che gli erano state sottratte erano fra le più fertili. Un'ampia area a sud dell'Ofanto fu destinata alla nuova colonia latina insediata a Venusia, i cui abitanti sanniti vennero privati dei loro beni. Inoltre, a nord i Romani s'impadronirono di terre a ovest del Volturno. Deve essere stato questo il momento in cui la valle dell'alto e medio Volturno sostituì il Liri quale linea di confine fra i due stati.

In altre parole, la Lega Sannitica perse Cominium, Atina, Aquilonia, Casinum, Venafrum e Rufrae. Cominium e Rufrae non compaiono più nella storia, mentre Atina, Casinum e Venafrum divennero praefecturae romane. Non sappiamo esattamente quando ciò avvenne, ma sembra probabile che esse smisero di essere "sannite" dal 290 a.C. in poi. Venafrum non poteva certamente far più parte del Sannio, se è corretta l'ipotesi che alcune monete del III secolo recanti scritte in osco ne provengano; ma ciò significherebbe anche che la città era, a quell'epoca, uno "stato indipendente" e non ancora una praefectura romana.

In altri termini, insieme ad Aquinum, Teanum e alle colonie latine di Cales, Fregellae, Suessa Aurunca e Interamna, essa costituiva una zona cuscinetto fra il territorio romano e quello sannita. Anche sulle sorti di Aquilonia sappiamo qualcosa dalle monete: le poche rinvenute testimoniano che anche tale città era divenuta un'entità distinta e non faceva più parte di uno stato tribale del Sannio, e ciò deve essere avvenuto nel III secolo, in quanto la dea guerriera raffigurata sul rovescio della moneta ricorda analoghe figure che compaiono sulle emissioni di Cales e Teanum in quel periodo. E' possibile che Venafrum ed Aquilonia siano divenute "romane" dopo la guerra di Pirro.

A quanto ne sappiamo, il resto del Sannio rimase intatto dopo la terza guerra, e presumibilmente la Lega Sannitica rimase in vita, ma anche in questo caso non è pensabile che potesse "rinnovare" il trattato con Roma su un piano di parità. Il Sannio non uguagliava più Roma; era ormai nettamente inferiore allo stato romano sia come estensione sia come popolazione. Inoltre la pace, come già osservato, non era stata negoziata, bensì imposta e, quindi, da questo momento in poi i Sanniti erano "alleati", ma non dotati d'uguaglianza giuridica con i Romani. Quando essi ripresero le armi, nel corso della guerra contro Pirro, Livio dice che "Samnites defecerunt". Anche se l'uso di tale termine in un "Epitome" liviana non va inteso troppo letteralmente, non vi è però dubbio che, dal punto di vista dei Romani, i Sanniti in quella circostanza effettivamente si ribellarono. Gli "alleati" presso cui fu inviato Fabrizio nel 284 a.C., nel vano tentativo di impedir loro di schierarsi con Taranto e altri nemici di Roma, erano indubbiamente i Sanniti.

Diventando "alleati" di Roma, i Sanniti avevano l'obbligo di accettarne le decisioni per quanto riguardava la politica estera, di fornirle truppe ogni volta che venissero richieste, e di astenersi da atti d'aggressione nei confronti dei loro vicini. Un elemento che poteva offrire qualche consolazione era che il loro territorio, benché ridotto, per lo meno non era stato diviso, e ciò permetteva la sopravvivenza della loro Lega. Ma anche questo modesto conforto era sminuito dal fatto di aver dovuto accettare colonie latine sul suolo sannita, di avere almeno tre delle frontiere controllate da esse, e di non poter perciò più nutrire alcuna speranza di espansione. In effetti, il tempo di un Sannio realmente indipendente era ormai trascorso.