Carlo II d'Asburgo (Madrid, 6 novembre 1661 – Madrid, 1º novembre 1700), soprannominato Carlo lo Stregato (Carlos el Hechizado), fu l'ultimo Asburgo di Spagna. Fu re di Spagna e dell'impero d'oltremare di Spagna, Sicilia e Sardegna, duca di Milano, sovrano dei Paesi Bassi spagnoli, conte palatino di Borgogna e, come Carlo V, re di Napoli.

Nato il 6 novembre del 1661 al Real Alcázar di Madrid, Carlo fu l'ultimogenito e l'unico figlio maschio sopravvissuto di Filippo IV di Spagna e della sua seconda moglie, sua nipote Marianna d'Austria. Per quanto debole e malaticcio la sua nascita fu accolta con grande gioia dal momento che l'altro erede di Filippo IV, Filippo Prospero, principe delle Asturie, era morto a 4 anni, 5 giorni prima che Carlo nascesse e prima di lui erano deceduti Fernando Tomas e Baltasar Carlos nel 1646 a soli 17 anni: Carlo diveniva quindi l'unico erede legittimo di Filippo IV. Per via della salute particolarmente precaria Carlo II non fu capace di parlare fino all'età di quattro anni, né di camminare fino a otto anni, e fu trattato come un bambino piccolo fino all'età di dieci anni: i suoi tutori avevano evitato di sottoporlo a qualunque sforzo sia fisico sia intellettuale, fino al punto di non considerare neppure l'igiene personale del ragazzo, tanto che il fratellastro don Giovanni d'Austria, divenuto valido, gli impose di lavarsi e di curare i capelli. Oltre a ciò, il re era sovente colpito da fortissimi attacchi di emicrania, epilessia e da continue malattie di carattere influenzale, che la credenza popolare attribuiva a una maledizione. Per questo motivo egli è passato alla storia come el Hechizado o in italiano lo Stregato. Recenti studi medici hanno dimostrato che invece, la cattiva salute del re dipendeva principalmente dalla politica matrimoniale endogamica e quindi dalla pratica di contrarre matrimoni tra consanguinei all'interno della dinastia degli Asburgo (molto frequente era il matrimonio tra primi cugini o tra zio e nipote), destinata a non disperdere i territori asburgici, ma tutt'altro che vantaggiosa dal punto di vista genetico. La madre di Carlo, cioè Marianna d'Austria, era figlia di Maria Anna di Spagna, che era però anche sorella di Filippo IV di Spagna, il quale, a sua volta, era padre di Carlo. Dunque, Filippo IV e Marianna d'Austria, genitori di Carlo, erano rispettivamente zio e nipote, mentre Maria Anna di Spagna era contemporaneamente zia paterna e nonna materna di Carlo. Quest'ultimo, quindi, aveva quattro bisnonni al posto di otto e sei trisnonni invece di sedici. Infine, secondo uno studio medico, il suo coefficiente di consanguineità era 0.254, ossia oltre 10 volte tanto rispetto a quello di Filippo I di Castiglia, padre dell'imperatore Carlo V e fondatore della dinastia. La teoria maggiormente seguita attribuisce il suo rachitismo, la sua debolezza mentale e la sterilità alla sindrome di Klinefelter, ma oltre a questa il re soffriva di un marcato progenismo mandibolare, presente in molti membri della famiglia e per questo detto mento asburgico, che impediva all'arcata superiore e inferiore dei denti di incontrarsi, rendendogli estremamente difficile la parola e la masticazione. Infine i tratti marcati del volto hanno suggerito la possibilità che fosse affetto di acromegalia, mentre le frequenti gastriti e i conati di vomito possono essere ricondotti al fatto che fosse malato di acidosi tubulare renale.

Filippo IV morì nella mattina del 17 settembre del 1665 dichiarando suo figlio Carlo, di appena 4 anni, come suo erede universale. Data la giovane età di Carlo e le sue precarie condizioni di salute, con la clausola 21 del testamento, Filippo IV affidò la reggenza alla regina Marianna d'Austria, la quale doveva essere assistita da altri 6 funzionari, tra cui l'arcivescovo di Toledo e inquisitore generale: il cardinale Baltasar Moscoso y Sandoval. Filippo IV poi, con la disposizione 37, riconobbe come proprio figlio don Giovanni d'Austria che si era distinto come generale nelle Fiandre e aveva riunito alla corona Napoli e la Catalogna e che al momento aveva la carica di viceré d'Aragona raccomandando alla moglie di rispettarlo e di promuoverne la carriera. La regina madre, invece, morto l'arcivescovo di Toledo, diede la carica vacante di inquisitore generale e di presidente del consiglio di reggenza al suo confessore personale, il gesuita austriaco Juan Everardo Nithard, cui conferì, in forma ufficiosa il titolo di valido, escludendo don Giovanni d'Austria che ben presto iniziò a odiare la regina e il suo valido, mentre la nobiltà disprezzava Nithard per via della sua eccessiva influenza sulla regina e in secondo luogo poiché la sua nomina non era stata approvata dal papa Alessandro VII. Nithard aveva ereditato una situazione politica particolarmente complessa dal momento che da un lato la sconfitta nella guerra franco-spagnola aveva scosso il potere e il prestigio spagnolo in Europa mentre dall'altro la guerra di restaurazione portoghese, che si trascinava dal 1640, assorbiva le scarse energie del regno.

Durante il governo di Nithard la situazione portoghese precipitò ulteriormente dal momento che l'esercito spagnolo mal equipaggiato e mal diretto si dimostrò totalmente incapace di difendere i confini e regolarmente truppe portoghesi riuscirono a penetrare nella Castiglia e nell'Andalusia ponendole a sacco. Incapace di respingere l'esercito portoghese, Nithard stipulò nel 1668 il disastroso trattato di Lisbona con cui, in cambio di Ceuta, la Spagna riconosceva l'indipendenza del Portogallo e dei suoi possedimenti (il Brasile e le piazzeforti commerciali in India e in Indocina). Nello stesso anno inoltre Luigi XIV di Francia intraprese la guerra di devoluzione contro la Spagna la quale solo grazie all'aiuto dell'Inghilterra, della Svezia e delle Province Unite, preoccupate dell'espansionismo francese, riuscì a evitare, nel trattato di Aquisgrana gravi perdite territoriali. Il trattato di Lisbona prima e la guerra di devoluzione poi avevano gravemente screditato il governo del gesuita presso la nobiltà mentre crebbe lo scontento dei ceti deboli per via del forte aumento delle tasse disposto dal gesuita per finanziare i due conflitti fallimentari. Di tale scontento si fece interprete don Giovanni d'Austria: nel 1669 marciò verso Madrid e occupata la capitale senza incontrare resistenza, obbligò la regina madre a destituire Nithard. In sostituzione di Nithard, fu nominato valido Fernando de Valenzuela, marchese di Villasierra, il cui governo non fu però più efficiente di quello del predecessore. Sul piano economico, infatti, Valenzuela, non tentò di adottare riforme per rendere più equo ed efficiente il fisco e neppure riuscì a riordinare la circolazione monetaria, sconvolta dall'eccessiva coniazione di monete avvenuta durante le ultime decadi del regno di Filippo IV, ma, per risolvere i gravi problemi finanziari, ricorse ancora una volta all'aumento delle imposte dirette che gravavano sui ceti popolari e ridusse gli effettivi dell'esercito. Ugualmente negativa fu la sua politica estera dal momento che fu il principale responsabile dell'entrata in guerra della Spagna nella guerra d'Olanda nell'anno 1672. In questo conflitto l'esercito spagnolo, fortemente indebolito, non riuscì a difendere la Franca Contea, perse le importanti piazzeforti di Namur e Charleroi e subì diverse incursioni in Catalogna, mentre sul mare una flotta congiunta ispano-olandese combatté alcune battaglie inconcludenti presso le isole Alicudi e la città di Augusta. A seguito di ciò nel 1674 avvenne la rivolta di Messina in cui gli abitanti, cacciata la guarnigione spagnola, chiesero l'aiuto di truppe francesi mentre la seguente battaglia navale di Palermo tra la marina ispano-olandese e francese si concluse con un'importante vittoria francese.

Nel 1678 fu stipulato il trattato di Nimega in base al quale la Francia ottenne la Franca Contea e numerose piazzeforti fiamminghe in cambio della riconsegna di Charleroi, Namur e della città di Messina. Furibondo per la rivolta Carlo II dichiarò la città "morta civilmente", abolì tutti i privilegi tra cui il porto franco e fece distruggere il Palazzo Senatoriale, in cui si riuniva il senato di Messina, ordinando, in segno di disprezzo, di spargere sale sul suolo in cui si riuniva e di erigere una statua che lo ritraeva a cavallo mentre calpestava un serpente, Messina.

Le gravi sconfitte nella guerra d'Olanda tuttavia influirono non poco sulla situazione politica del regno: infatti, con l'avvicinarsi della maggiore età di Carlo II, sia la Regina madre sia don Giovanni d'Austria intrapresero una lotta agguerrita per assicurarsene il favore e quindi governare in sua vece, data la grave debolezza fisica del sovrano. A tale scopo, nel 1677, la regina, con l'appoggio di Valenzuela e di gran parte della corte, decise di inviare don Giovanni d'Austria in Italia in modo da allontanarlo dalla corte mentre fece prorogare di altri due anni la reggenza. Carlo II, dopo un violento litigio con la madre, cedette ma in segreto inviò missive al fratellastro don Giovanni, inducendo costui a marciare verso Madrid: occupò il palazzo dell'Escorial e convinse il re, di diritto maggiorenne dal 1675, a licenziare Valenzuela e a esiliarlo nelle Filippine, a confinare la regina madre, Marianna d'Austria, all'alcázar di Toledo e infine a nominare un nuovo valido, lo stesso don Giovanni d'Austria. Nel 1679 don Giovanni d'Austria morì e Marianna d'Asburgo poté tornare a corte, infatti sebbene fosse stato dichiarato adulto, il re per via delle precarie condizioni di salute, lasciò alla madre una notevole libertà d'azione così come, conscio delle proprie debolezze, preferì delegare parte dei propri poteri a vari "validi": Juan Francisco de la Cerda, duca di Medinaceli (dal 1680 al 1685), Manuel Joaquín Álvarez de Toledo, conte di Oropesa (dal 1685 al 1691 e dal 1695 al 1699) e all'arcivescovo di Toledo Luis Manuel Fernández de Portocarrero (dal 1699 al 1700).

Gli anni in cui Carlo II regnò furono difficili per la Spagna, ormai entrata in una fase di declino: La crisi politica e militare si era acuita a causa delle sconfitte nella guerra dei trent'anni e nelle continue guerre contro la Francia. Tali conflitti, sebbene non avessero gravemente compromesso l'immenso impero spagnolo (salvo ovviamente la perdita del Portogallo e delle colonie del Brasile e delle Molucche) ne avevano tuttavia dissestato l'economia e indebolivano i collegamenti tra le varie province. Era invece gravemente deteriorata la situazione economica già debilitata dalla politica imperialista di Filippo II di Spagna e dei suoi successori Filippo III e Filippo IV e da problemi strutturali quali un'amministrazione decentrata e debole, un sistema tributario che gravava principalmente sui ceti deboli ed esentava le rendite della nobiltà e della Chiesa cattolica e dalla mancanza di una borghesia dinamica che potesse attivare dei vitali circuiti produttivi. I problemi economici venivano amplificati dalla forte importanza assunta dalla nobiltà e dal clero, non solo per via delle detrazioni fiscali, ma anche per il semplice fatto che in questi ceti si concentrava la gran parte della proprietà fondiaria, di cui si disinteressavano ritenendo l'amministrazione delle loro terre cosa non degna del loro rango o del dovere di servire Dio. In conseguenza di ciò i latifondi non erano sfruttati se non per il pascolo o per un'agricoltura estensiva e poco produttiva affidata nelle mani dei braccianti mentre i liberi proprietari, schiacciati dal peso del fisco o emigravano nelle città ma con scarse possibilità di trovare lavoro o nelle colonie causando un forte deficit demografico. In tali condizioni divenivano ancora più gravi gli effetti dell'espulsione dei moriscos, decisa nel 1609 dal duca di Lerma, il favorito di Filippo III. I musulmani che dopo la Reconquista erano rimasti in Spagna a condizione di convertirsi al Cristianesimo, avevano costituito infatti, proprio perché considerati indegni del servizio religioso o militare, una manodopera di alta qualità nell'industria serica come nella produzione agricola nell'agricoltura e nell'industria. Questi meriti furono però insufficienti a salvarli: infatti, le pressioni del clero, dietro il pretesto che i musulmani avrebbero potuto agevolare un attacco turco, indussero Filippo III e il duca di Lerma a esiliarli privando il paese di 200 000 uomini pari al 3.5% della popolazione; altre stime, inoltre indicano 275'000 e 300'000 espulsi. Con tale atto fu gravemente compromessa l'economia andalusa lasciata priva dei migliori agricoltori e artigiani. La naturale conseguenza di ciò era stata che la Spagna, principale importatore di metalli preziosi dalle Americhe, non ne tratteneva per sé che un piccolo quantitativo e usava il restante come mezzo di pagamento verso i mercanti italiani (genovesi in particolare), fiamminghi, olandesi che procuravano tutto ciò la Spagna non produceva. L'influenza del clero, infine, impediva ogni anelito di riforma culturale e il suo ruolo è testimoniato dall'importanza assunta dal tribunale inquisitorio che nel 1680 celebrò, alla presenza della famiglia reale e della corte, il più grande autodafé nella storia dell'Inquisizione spagnola: 120 prigionieri furono giudicati e per celebrare l'evento, fu pubblicato un libro riccamente decorato. Gli eccessi del clero, tuttavia, impaurirono lo stesso sovrano che istituì un'apposita commissione per indagare sull'Inquisizione spagnola ma, per quanto il resoconto fosse nettamente contrario all'inquisizione, l'influenza del clero fu tale da indurre il governo a nascondere e, secondo alcuni, dare alle fiamme il rapporto e in effetti, quando lo richiese Filippo V, non se ne trovò alcuna copia.

Nel Regno di Napoli in cui fu l'ultimo Asburgo a regnare e più specificatamente in Calabria, in seguito alla strage di Pentidattilo del venerdì di Pasqua del 1686, dopo aver perseguito il barone Bernardino Abenavoli reo del fatto di sangue, nel 1696 unificò Montebello Jonico a Fossato creando il marchesato di Montebello Jonico e attribuendolo al nobile Ferdinando Mazzacuva (nato nel 1677) che divenne il I marchese dell'antica famiglia della Jonica calabrese. Pochi anni dopo, nel 1691, promulgò una prammatica con cui dava mandato ai viceré della Nuova Spagna e del Perù di aprire scuole di villaggio per insegnare ai nativi americani lo spagnolo: atto che sancì la completa unione della cultura indigena con quella dei conquistadores iberici.

In politica interna, il Duca di Medinaceli, cercò di restaurare l'economia attuando una svalutazione della moneta ma non ottenne alcun successo e, con l'istituzione della Junta de Comercio y Moneda, iniziò una politica di raccoglimento finanziario, invertendo un trend consolidato che si trascinava sin da Carlo I. Medinaceli tuttavia, dovette affrontare anche la politica espansionistica di Luigi XIV che a partire dal 1682, intraprese una campagna di conquista nei Paesi Bassi coronata dall'occupazione di Lussemburgo e verso il confine catalano, ove le truppe francesi, poterono avanzare fino a Gerona. Nel 1683 la Spagna dichiarò guerra alla Francia che reagì attaccando uno dei più fedeli alleati spagnoli, la Repubblica di Genova, la cui capitale fu sottoposta a un feroce bombardamento navale. Prive di risorse, Spagna e Genova accettarono la mediazione di Olanda e dell'imperatore che si concluse con il trattato di Ratisbona. Medinaceli screditato dagli insuccessi, osteggiato dalla regina madre, si dimise poco dopo lasciando gli incarichi al conte di Oropesa, il quale, approfittando della pace, proseguì la politica di risanamento dell'economia, già abbozzata dal predecessore: ridusse il numero degli uffici militari, dei tribunali, aumentò l'orario di lavoro dei dipendenti pubblici e soppresse gran parte delle pensioni e delle esenzioni fiscali fino ad allora erogate. In secondo luogo, coadiuvato dal marchese Manuel de Lira, segretario di stato per le spese generali, Oropesa ridusse le rendite di corte arrivando a proibire numerosi acquisti di articoli non necessari allo scopo di abolire, nel 1685, alcune tasse impopolari che gravavano principalmente sulla popolazione comune. Fallì, invece, per l'opposizione della chiesa e di gran parte della nobiltà, il progetto di richiamare in Spagna gli ebrei, affinché rianimassero il commercio e le manifatture. Il re fu tra i principali sostenitori di questi provvedimenti tanto che volle dedicare meno tempo ai suoi svaghi per occuparsi con maggior vigore e interesse alle questioni pubbliche, desiderando di essere informato di tutto.

Il 14 ottobre del 1686 il re promulgò un decreto che attuava, dopo diversi tentativi falliti, una riforma monetaria per ovviare ai problemi di inflazione, manipolazione monetaria e tesaurizzazione delle monete pregiate in oro e argento; problemi originati dall'eccessiva coniazione di reales di rame durante il regno di Filippo IV e durante la reggenza di Marianna d'Austria. Il decreto mise fuori circolazione tali monete in rame, svalutò del 20% la moneta d'argento e costituì 2 sistemi monetari separati: da una parte le Indie e le transazioni commerciali con l'estero mantenevano il vecchio real di argento, poi conosciuto con il nome di "pezzo da otto", mentre la Spagna adottava il nuovo standard svalutato; il valore del vecchio real fu fissato a 10 reales del nuovo standard. Gli effetti di tale riforma furono certamente notevoli non solo per la separazione del sistema monetario delle colonie rispetto a quello della madrepatria ma anche perché la svalutazione garantì una moderata ripresa delle attività agricole, commerciali e manifatturiere delle Asturie, dell'Aragona e della Catalogna e certamente contribuì a riordinare l'intera situazione economica. Le riforme, per quanto utili per il regno, sebbene fossero riuscite a rianimare i traffici commerciali e la produzione agricola e manifatturiera, certamente ebbero dei limiti notevoli né tanto meno riuscirono a colmare il divario che separava l'impero spagnolo dai suoi concorrenti. Infatti esse si limitarono a scalfire gli interessi dei ceti agiati, in secondo luogo giovarono solamente alle regioni periferiche del regno, maggiormente aperte ai commerci, e non alla Castiglia e all'Andalusia che, ormai spopolate dalle carestie e dalle epidemie erano rimaste completamente nelle mani dei feudatari latifondisti, aggravando le disparità economiche. Poi mancò una riforma della pubblica amministrazione, la quale fortemente decentrata in provincie che mantenevano fueros e statuti autonomi o privilegi, non era in grado di garantire una tempestiva mobilitazione delle energie del regno, né poteva tanto meno imbrigliare il potere e l'influenza delle aristocrazie locali: se infatti, Filippo IV e il conte di Olivares avevano tentato inutilmente di centralizzare a Madrid l'amministrazione, provocando rivolte separatiste, come la sollevazione della Catalogna, Carlo II non affrontò neppure il problema e lo lasciò in eredità ai suoi successori. Tuttavia bisogna riconoscere che questa inattività non ebbe risvolti del tutto negativi, dal momento che contribuì a migliorare le condizioni economiche e fu apprezzata dalla classe dirigente e dalla borghesia aragonese e catalana, tanto che Feliu de la Peña, un importante aristocratico catalano, definì Carlo II come il "re migliore che la Spagna abbia mai avuto"; certamente tale politica compiacente fece anche in modo che la rivolta delle Barrettina, scoppiata in Catalogna tra il 1687 e il 1689, e la contemporanea sollevazione della città di Alicante non sfociassero in una sollevazione come quella del 1640.

Ormai la salute di Carlo II declinava e le pressioni dell'ambiente di corte sul re si moltiplicarono fino a giungere agli esorcismi. Nel 1698, infatti, il re su consiglio dell'inquisitore generale Rocaperti e del confessore Froillan Diaz, invitò a corte frate Alvarez Arguelles con il compito di interrogarlo per scoprire se fosse vittima di un sortilegio. Il frate affermò che il re era effettivamente vittima di una maledizione e che i colpevoli di ciò fossero la regina e politici favorevoli al partito austriaco. Ma esso con l'appoggio della regina Maria Anna di Neuburg reagì e controinterrogò il re ottenendo il risultato opposto. La regina allora fece incarcerare il confessore Froillan Diaz e frate Arguelles, ma la diffusione della notizia degli esorcismi generò uno scandalo e contribuì a minare il già scarso prestigio della corte spagnola mentre d'altro canto la tensione e i medicamenti somministrati al sovrano, durante le procedure, minarono la sua salute già vacillante. Con lo scandalo degli esorcismi divenne ancor più forte la frattura all'interno della corte così come le pressioni sul re: da una parte la moglie Maria Anna e i parenti austriaci ricordavano la lealtà dinastica, dall'altra i membri del partito filo-borbonico asserivano che solo la potenza del Re Sole avrebbe potuto evitare la disgregazione dei territori controllati dalla Spagna e gli suggerivano di testare in favore di Filippo d'Angiò. Lo scontro all'interno della corte ebbe ripercussioni anche sull'ordine pubblico e il 28 aprile del 1699 scoppiò a Madrid il cosiddetto "motin de los Gatos". Il pretesto della rivolta furono dei soprusi e delle parole ingiuriose rivolte dal corregidor di Madrid, Francisco de Vargas, a una fruttivendola, accusata dal nobile di non essere in grado di sfamare il marito e i figli e che in risposta la folla lì presente iniziò a urlare "Lunga vita al re e morte ad Oropesa". La folla si spostò verso la casa del conte di Oropesa, la saccheggiò e proseguì verso il palazzo reale dove Carlo II cercò di calmare gli animi dei rivoltosi annunciando la sostituzione del corregidor di Madrid, de Vargas, con Francisco Ronquillo, un'amnistia generale e il licenziamento del conte di Oropesa. Solo allora la folla si disperse. Dopo il tumulto acquisì una notevole influenza il cardinale Luis Fernandez de Portocarrero, di cui era ben nota la simpatia per il candidato francese, il duca di Angiò.

Alla soglia del 1700 le condizioni fisiche di Carlo II precipitarono: il sovrano deperiva costantemente e divenne quasi cieco, soffriva di febbri continue, idropisia, astenia, debolezza intestinale mentre gli attacchi epilettici e gli spasmi aumentavano di intensità senza che le inadeguate cure mediche, quali porre piccioni appena uccisi sul capo e applicare viscere di mammiferi calde sul ventre, gli portassero giovamento. Nel settembre dello stesso anno il re scrisse a papa Innocenzo XII per chiedergli consiglio in materia della sua successione ottenendo una risposta favorevole alle pretese francesi. Poi conscio della sua fine imminente, diede ordine di aprire i sarcofagi degli antenati e vedendo il corpo, conservatosi intatto, della sua prima moglie Maria Luisa d'Orléans, vi rimase accanto piangendo per una notte intera. Dal 20 settembre il re rimase confinato nel suo letto, incapace di alzarsi e il 3 ottobre, quando gli fu presentato il testamento che i redattori avevano compilato secondo le sue volontà, affinché lo firmasse, esclamò "Dio solo è colui che dà i regni, poiché solo a Lui appartengono" per poi sospirare: « Ora non sono niente ». Il 30 ottobre perse conoscenza e secondo le sue direttive fu costituito un consiglio di reggenza guidato dalla regina Maria Anna e dal cardinale Portocarrero. Morì il 1º novembre alle ore 2.49, per un colpo apoplettico; di seguito si riportano i risultati dell'esame autoptico, condotto poco prima che il re venisse condotto alla sua eterna dimora, nella cripta Reale del Monastero dell'Escorial. Nel suo testamento, reso pubblico il 2 novembre, riconoscendo le ragioni francesi con la clausola 13, nominò come suo erede e successore universale Filippo d'Angiò, nipote del re di Francia Luigi XIV e di Maria Teresa di Spagna, sorella maggiore di Carlo, alla sola condizione che Filippo rinunciasse a nome suo e dei suoi figli ad ogni pretesa verso la corona di Francia. Se Carlo, abilmente aveva con il suo testamento impedito che le corone di Francia e Spagna si unissero, gli atti di Luigi XIV andavano in direzione opposta: il Re Sole, infatti, immediatamente ruppe gli accordi con Leopoldo I e approfittò della parentela col nuovo re spagnolo per schierare le sue truppe nei Paesi Bassi spagnoli.

Al disegno egemonico di Luigi XIV si oppose l'Austria, e questo determinò l'inizio della guerra di successione spagnola che si risolse con la pace di Utrecht e quella di Rastadt, rispettivamente nel 1713 e nel 1714: Filippo V veniva riconosciuto come re di Spagna, ma quest'ultima fu costretta a cedere all'Austria tutti i possedimenti italiani e i Paesi Bassi spagnoli, e all'Inghilterra Gibilterra e Minorca: la Spagna cessò di essere una grande potenza. Il 27 gennaio 1701, saputa la notizia della morte di Carlo II, a Roma vennero celebrate solenni esequie commemorative, o funerale regio, presso la basilica di Santa Maria Maggiore: sopra un catafalco di quattro piani, riccamente decorato, stava il cenotafio di Carlo II, rappresentato ad un'urna sepolcrale in broccato d'oro sormontata da una fastosa corone reale dorata. La solenne messa fu officiata dal Vescovo di Cartagena monsignor Spagnuolo, mentre l'orazione funebre venne declamata in latino dal reverendo padre Carlo d'Aquino della Compagnia del Gesù.