Il dominio di Roma era basato sulla conquista militare e sullo sfruttamento schiavistico delle campagne. All'economia di mercato fu sempre dedicata poca considerazione. Così quando l'esercito non fu più in grado di fornire nuovi bottini di guerra, le casse dello stato rimasero pericolosamente a secco. Gli imperatori aumentarono la tassazione che era sempre stata molto bassa e prima gravava esclusivamente sui contadini. 

La vecchia classe nobiliare si lasciò sfuggire il potere di mano, a scapito della figura dell'imperatore e dei militari, abbandonò la cura delle città e si chiuse in sé stessa. L'economia agricola soffriva di una crisi strisciante e la situazione fu decisamente peggiorata dalle epidemie, e dalle numerose guerre del terzo secolo. Un mondo che sembrava ricco e potente, improvvisamente si trovò sull'orlo della frantumazione. In cinquant'anni l'inflazione salì a livelli inauditi. E la moneta d'argento, su cui si basavano gli scambi fra la gente comune, perse qualsiasi valore reale. Nessuno voleva più il denarius d'argento. Al punto che i rappresentanti dello Stato non accettavano più le sue emissioni, neanche come pagamento delle imposte. Preferivano riscuotere quanto dovuto sotto forma di beni naturali.

Dopo la lunghissima fase di espansione, per Roma nel terzo secolo arrivarono nuovi nemici stranieri, guerre civili, malattie e un generale impoverimento. Il governo romano, sotto la dinastia di Severo  (193-235), riuscì a reggersi senza il consenso del senato, mettendo anzi il ruolo della vecchia aristocrazia in secondo piano. L'imperatore Severo e i suoi discendenti seguirono scrupolosamente le severe leggi romane, ma affidarono tutti i nuovi uffici e compiti vacanti a quella vecchia classe sociale dei «cavalieri», che ne garantiva l'autorità. La dinastia continuò ad aumentare le tasse. Nei confronti dei senatori - i nobili di allora - le tasse erano sempre state molto basse. In generale, la politica dei governi del terzo secolo cercò di essere più equa. 

Durante i cinquant'anni che vanno dal 235 al 284 ci furono numerose lotte fra armate dell'esercito imperiale. Alcune ai comandi dei senatori, altre ai comandi di «cavalieri». Questi scontri diedero luogo a quella situazione che è stata definita di "anarchia militare".  Tale instabilità interna favorì le incursioni dei popoli esterni, che erano già in forte espansione demografica. Per affrontare gli attacchi contro l'impero soldati e «cavalieri» poterono fare richieste economiche via via crescenti e spesso ottennero l'elezione dell'imperatore, conquistando potere politico, diritti giuridici e di conseguenza una buona parte delle terre coltivabili. 

Ma lo Stato si trovò a corto di liquido. Le comunicazioni erano ardue a causa della guerra. Le miniere erano difficili da raggiungere. E ad ogni nuova emissione delle zecche le monete d'argento, su cui si basavano gli scambi commerciali della gente comune, erano sempre più simili a monete di rame. Intanto le imposte straordinarie, che sarebbero dovute restare a carattere eccezionale, diventavano sempre più spesso delle imposte fisse.

Tutto questo andava a scapito sia delle associazioni di cittadini comuni, sia della vecchia classe dirigente. Artigiani e commercianti persero rapidamente quella scarsa influenza politica che avevano. L'evoluzione sociale romana fu differente da quella moderna. Gli operai e i proletari (i plebei) erano giunti al potere durante i primi secoli dell'era romana, ma avevano perso subito quanto avevano guadaganto. Però anche i senatori, che si vantavano di aver portato Roma alla conquista del mondo durante la fase repubblicana (509-31 a.C.), si indebolirono a tal punto che alla fine del III secolo - sotto Gallieno (260-268) e Diocleziano (284-305) - avrebbero perso quasi tutti i loro privilegi, compreso il comando di reggimenti. Così non esercitarono più alcun potere reale, occupandosi dell'amministrazione civile, ma restando un organismo improduttivo e parassitario.

Durante il governo di Gallieno le incursioni nemiche divennero così frequenti da paralizzare completamente il sistema di comunicazioni imperiali. Nello stato romano la maggior parte delle tasse serviva per retribuire l'esercito e, in un periodo di "anarchia militare", le truppe - cui i Severi avevano affidato tutta la responsabilità del fisco - imposero con la forza il diritto di riscuotere le imposte direttamente dalle mani, o dai terreni, dei contribuenti. Le monete d'argento avevano sempre meno valore e quindi i soldati preferirono che i pagamenti avvenissero in oro o in prodotti necessari al momento. In tal modo lasciarono ulteriormente sulla piazza le monete svilite appena emesse dalle zecche governative. A un certo punto lo stato si divise in tre diversi sotto-imperi (260-274). La situazione era drammatica e per una decina d'anni l'economia fu prevalentemente a carattere naturale, allo stadio di mille anni prima. Le monete coniate nelle zecche centrali erano così svilite che si ossidavano dopo pochi mesi, diventando scure e deformate. Aureliano (270-275) riunificò l'impero e cominciò anche a produrre moneta in maniera più sofisticata, ma ancora per quasi  mezzo secolo, le entrate dello stato e il pagamento dei soldati sarebbero stati calcolati a seconda delle esigenze materiali. In pratica al posto dei contanti, gli stipendi erano fatti solamente di benefit.

Durante la dinastia di Severo (193-235) si verifica una costante "militarizzazione" e un progressivo aumento delle tasse. In questo periodo si rende definitivo il ruolo organizzativo dello stato centrale, a scapito dell'autonomia delle singole città. Gradatamente nel terzo secolo, con l'avanzare del tempo, per le irruzioni esterne, la contemporanea ascesa del potere militare, l'incremento delle tasse, lo svilimento della moneta d'argento e l'aumento esponenziale dei prezzi, tutti i cittadini dell'impero finiranno per impoverirsi e perdere l'influenza politica esercitata nelle città dalle loro associazioni. I lavoratori, dalla classe media a quella bassa, come operai, artigiani e commercianti stanno scomparendo del tutto dalla scena politica. I nuovi poveri continuano ad aumentare e si ammassano in città, soprattutto a Roma, dove si ricevono numerosi prodotti alimentari distribuiti gratuitamente o a basso prezzo, e dove si assiste a spettacoli mozzafiato, anch'essi a basso prezzo. 

Vediamo dunque come si è verificata la scomparsa delle classi medie, fenomeno dinamico connesso con la trasformazione dell'impero da una "confederazione" di città autonome a una struttura organizzata e centralizzata. Innanzittutto l'aumento delle imposte ricade in buona parte sui contadini, mandandoli spesso in crisi, costringendoli a fare debiti e nella peggiore delle ipotesi a vendere le terre. Praticamente anche nel mondo romano, nonostante l'assenza del progresso tecnologico, i piccoli proprietari perdono i propri diritti a favore dei grandi latifondisti, proprietari di immensi appezzamenti di terreno (con cui si misurava la "ricchezza"). Cioè, in parole povere, in un libero mercato le grandi aziende aumentano sempre il loro giro di affari. Le piccole e medie imprese falliscono. La società si polarizza, lo strato medio diminuisce. Il mondo dal III secolo in poi si divide sempre più marcatamente fra ricchi e poveri, senza un gruppo di persone che faccia da contatto fra i due estremi. Moltissimi politici romani erano consapevoli di questa continua "crisi agraria", che andava avanti da secoli. A più riprese la repubblica e l'impero divisero terreni pubblici e latifondi privati in piccoli lotti da assegnare ai cittadini-soldati. La misura aveva motivi politici e militari. Ma la legge dell'economia è implacabile.

A partire dal II secolo, mentre le classi dei proprietari di medio livello (i piccoli agricoltori) si impoveriscono confluendo nella plebs urbana, dall'altra parte i militari e i funzionari addetti alla gestione dell'impero organizzato raggiungono lo stesso livello di "importanza sociale" dei senatori: si sta formando, cioè, un'unica classe sociale di «benestanti», chiamati dalla legge honestiores, basata sulla ricchezza e la gerarchia imperiale, più che sulla nobiltà tradizionale. Ma nel terzo secolo questi cittadini altolocati non sono così ricchi come i pochi "cives" di una volta, antichi privilegiati dotati di cittadinanza romana: i molti cittadini (cives) odierni sono praticamente gli stessi sudditi di un tempo con un altro nome. 

I diritti giuridici che hanno raggiunto - come la possibilità di subire proveddimenti penali non violenti - vengono pagati in moneta sonante, ovvero col pagamento delle tasse. Così i cives del III secolo non hanno niente a che vedere con gli antichi cives romani: hanno gli stessi diritti, ma sono costretti a pagare le tasse. Quindi si impoveriscono più facilmente e non hanno nemmeno in mente di fornire monumenti e opere pubbliche alle città, com'era antica abitudine di quei privilegiati di un tempo, che si chiamavano già cittadini. Ma anche i discendenti dei "pochi cives" di una volta stanno perdendo i loro vecchi privilegi. Infatti nel II e III secolo le élite privilegiate, discendenti delle vecchie aristocrazie sottomesse dai romani, vengono escluse dalla facoltà di raccogliere le tasse a favore della crescente organizzazione burocratica dell'impero. Così anch'essi non ritengono più fra i loro compiti l'abbellimento delle città e il sostegno generale al popolo e alla cultura civica (evergetismo). 

Di conseguenza è lo Stato stesso, servito da uomini fedeli all'impero e non alla città d'origine, ad occuparsi di monumenti, strade e acquedotti. La creazione di un'unico stato sta quindi portando alla crisi delle singole città, del loro potere locale, della loro ricchezza privata, in favore dell'accentramento e dell'amministrazione pubblica. Un fenomeno che non si fermerà, ma anzi progredirà per tutto il secolo successivo, sotto Diocleziano (286-305) e Costantino (313-337). 

Il problema è che nel corso del III secolo l'economia decade velocemente: non solo i piccoli proprietari terrieri, ma anche i grandi e piccoli commercianti perderanno importanza, e con essi tutte le corporazioni cittadine e la vita urbana in generale. La partita politica resterà in mano ai potenti di sempre, i grandi proprietari terrieri. Chi ha dei soldi quindi non li investirà più in capitali, ma in beni fondiari.

Buona parte di questa dinamica è causata dalle continue guerre del terzo secolo, col loro carico di insicurezza e governi imperiali semi-anarchici. Ma l'abbattimento della società aristocratica in favore di una "meritocratica" era già in corso. Entrambe pensavano di essere le migliori, le più efficienti. Di fatto si passò da un governo tradizionale aristocratico a un governo, "nuovo", che non teneva conto delle differenza di nascita. Il potere dell'imperatore però sarà assoluto (non limitato dai senatori) ed egli formerà una classe "nobile" (privilegiata) completamente nuova, totalmente alle sue dipendenze.

Già da duecento anni la società aristocratica era stata quasi abbattuta da "rivoluzioni" politiche in nome del popolo. I vecchi nobili avevano perso il loro ancestrale potere. Anche le persone comuni però sono state coinvolte nella crisi generale dell'organizzazione pubblica. La crisi economica del III secolo fa sì che nessuno abbia più la possibilità di condurre il proprio podere, né di sostenersi col commercio. Tutti possono fare carriera e arricchirsi solo in funzione dello stato e del suo esercito, necessario contro l'avanzata dei pericoli esterni. Fra l'altro ai contadini che si arruolano vengono offerti gli stessi diritti giuridici degli honestiores. Contemporaneamente, però, la crisi economica grava su tutti, sia contadini che commercianti, favorendo l'impoverimento generale. 

La società non appare più divisa nei tre grossi ordini, senatori, cavalieri e plebei, separati rigidamente in base alla ricchezza e alla nascita. Adesso ci sono solo le due grandi categorie giuridiche di ordine superiore, gli honestiores (di cui facevano già parte i vecchi senatori e cavalieri) e gli humiliores (commercianti, contadini, servi, schiavi). E il passaggio da una all'altra è meno rigido in entrambe le direzioni. I contadini (una volta plebei a vita) possono ora diventare honestiores arruolandosi nell'esercito. I senatori sono decadenti. I commercianti sono pochissimi. La vita nell'esercito però è molto dura e spesso i contadini, piuttosto che una vita da "plebe" urbana malamente assistita dallo stato, preferiscono entrare alle dipendenze dei grandi proprietari, "a vita", preferiscono essere servi, che fare i soldati o i mendicanti.

La categoria dei grandi proprietari terrieri (i ricchi), riassumendo, sarà formata dai seguenti honestiores: i senatori tradizionalisti che sopravvivono nel lusso decadente; i discendenti delle aristocrazie locali sottomesse che, per la politica imperiale di assimilazione, hanno acquisito titoli civili o nobiliari romani, diventando a loro volta «cavalieri» e persino senatori (termini esistenti solo sulla carta); e infine i generali arricchiti, che derivano dai vecchi «cavalieri» (sempre meno spesso mercanti e sempre di più militari o funzionari statali) o dai nuovi soldati professionisti (di carriera) arruolati in buona parte fra i contadini.