Fin dal II millennio a.C., il Lazio era abitato da popolazioni di lingua indoeuropea: i Latini e i Sabini erano popoli arretrati che vivevano di pastorizia e agricoltura; insediati sul colle Palatino, (perché a quel tempo la pianura era acquitrinosa) commerciavano il sale, molto importante all'epoca, che veniva estratto dalle saline situate alla foce del Tevere e usavano l'isola di Tiberina come guado per la transumanza del bestiame e per il commercio. Qui si formò la prima civitas latina, cioè la prima comunità unita dal culto di un/a dio/dea. Tuttavia, secondo la leggenda, a fondare la città il 21 aprile del 753 a.C. furono due gemelli, Romolo e Remo, che il mito vuole figli di Marte, allevati da una lupa.

All'inizio Roma fu governata da re; poche sono le notizie sui primi quattro (Romolo, Numa Pompilio, Anco Marzio e Tullio  Ostilio) ma sappiamo che furono di orgine latina-sabina e che governarono nell'VIII-VII sec. a.C. Le informazioni più sicure sono sugli ultimi tre re (Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo), una famiglia di origine etrusca che dal V sec. a.C. prese il controllo della città, bonificando la valle del Palatino e del Campidoglio e costruendo un sistema fognario, il Foro (la piazza centrale della città) e una cinta di mura difensive, mura serviane. Attraverso una campagna di conquista, resero Roma la più potente del Lazio e conquistarono l'egemonia sulle altre città.

L'ultimo re fu, secondo a tradizione, Tarquinio il Superbo, tirannico e crudele, fu cacciato nel 509 a.C., segnando la fine della monarchia, dovuta alla rivolta dell'aristocrazia romana. A Roma il re era sacerdote, giudice e detentore dell'imperium, cioè del potere politico in tempo di pace e del controllo militare durante la guerra. Il re era nominato e  affiancato  dal  senato, ovvero da un consiglio di cento uomini, di cui facevano parte i patres (anziani) e gli esponenti più autorevoli della gentes. Gentes, ossia stirpe, era costituita da famiglie che discendevano da un antenato comune e formavano trenta curie, in cui erano divisi i cittadini-soldati romani; ogni curia doveva fornire dieci cavalieri e cento fanti. Le curie si riunivano nell'assemblea dei comizi curiati, che approvava la nomina del re e le sue decisioni più importanti. La parte più numerosa della popolazione, formava la plebe, costituita da piccoli-medi artigiani e contadini; erano esclusi dalla vita pubblica e dall'esercito, poiché non erano in grado di armarsi a proprie spese.

 

La repubblica e il conflitto tra patrizi e plebei

Con la caccia dell'ultimo re etrusco e il graduale passaggio alla repubblica, furono inserite varie modifiche durate oltre un secolo. La principale novità consistette nella divisione dell'imperium, il potere militare, tra due consoli, che dovevano esercitarlo collegialmente e rimanevano in carica per un anno; in caso di emergenza, l'imperium passava sotto le mani di un dittatore, che aveva pieni poteri e poteva agire solo per sei mesi. Oltre ai consoli furono introdotti dei magistrati, che dovevano svolgere precisi compiti di amministrazione.

Il senato continuò ad assistere i consoli nelle decisioni più importanti, ma fu incrementato dai nuovi gruppi familiari: i conscripti (inscritti nella lista dei senatori) e dai magistrati che terminavano il loro mandato. Inoltre furono soppiantati i comizi curiati sostituiti dai comizi tributi e dai comizi centuriati; i comizi tributi si basavano su una nuova divisione dei distretti territoriali, chiamati tribù; l'iscrizione a una tribù conferiva la cittadinanza romana, che non dipendeva più dall'appartenenza a una gens. Nei comizi tributi si trovavano a fianco i patrizi e i plebei, ma non essendo la principale assemblea eleggeva soltanto magistrati minori. Mentre i comizi centuriati era l'assemblea dei cittadini-soldati romani, divenne l'assemblea più importante del popolo, eleggeva i consoli ed approvava le leggi. La popolazione adulta maschile, divisa in cinque classi in base al censo, partecipava ai comizi centuriati raggruppata in 193 gruppi, chiamate centurie che oltre a formare l'unità di voto, costituiva i contingenti militari.

La  prima classe era quella dei grandi proprietari terrieri, disponeva della maggioranza dei voti e con 98 centurie formava la maggior parte dell'esercito; le altre quattro classi fornivano il resto della fanteria leggera e pesante, mentre i proletari svolgevano attività di sostegno all'esercito, poiché la loro unica ricchezza erano i figli. Dai primi decenni della repubblica iniziò subito uno scontro tra patrizi e plebei che durò circa un secolo e mezzo, le nuove riforme non avevano indebolito il predominio dei patrizi che, oltre alla maggioranza dei voti, avevano il potere esclusivo di eleggere i consoli, di far parte del senato e amministrare la giustizia; ma abusavano del loro potere, infatti senza leggi scritte i giudici patrizi  attuavano ogni forma di sopruso. Tuttavia la crescita della plebe, preoccupava l'aristocrazia che si racchiuse in una casta composta da 20 curie proibendo i matrimoni tra patrizi e plebei. I plebei, a questo punto, attuarono la secessione nel 494 a.C. rifugiandosi sul colle Aventino, rifiutando di servire l'esercito ed elessero i propri rappresentanti: i tribuni della plebe. Con quest'atto sia l'assemblea della plebe
che i propri tribuni vennero riconosciuti come parte dello stato, attribuendo ai tribuni poteri quali il bloccare le leggi ed i provvedimenti che potevano risultare dannosi per la plebe. Infine, nel 450 a.C., si giunse a un compromesso: dieci patrizi (decemviri) furono incaricati di fissare per scritte delle leggi, le Dodici Tavole, che pure essendo severe, furono accolte positivamente dalla plebe che vedeva ridurre gli abusi dei patrizi.

 

Roma si rafforza

Per tutto il V sec. a.C., Roma fu indebolita dalla faticosa respinta dei Chiusi, che volevano riaffermare il controllo etrusco della città, e della guerra contro un'alleanza di città latine che non accettavano l'egemonia. Dopo la battaglia del lago Regillo, nel 496 a.C., fu stilato un trattato di pace: il foedus cassium, che ricostruì la federazione latina che vedeva in parità Rome e le altre città. Dopodiché, nel 396 a.C. Roma, conquistò la città di Veio, dopo un lungo assedio, ma subì un attacco da parte dei Galli Senoni, che varcati gli Appennini dalle Marche, invasero la città e la incendiarono; la sconfitta spinse Roma a rafforzarsi militarmente. Il territorio di Veio fu distribuito ai cittadini; in questo modo i clienti (ovvero coloro che in cambio di protezione da parte di un capo della gentes, doveva coltivare gratuitamente un lotto di terra e seguirlo in guerra) non avevano più bisogno di rivolgersi agli aristocratici che, a questo punto, iniziarono a sfruttare gli schiavi per debiti.

Questo atto riaprì lo scontro tra patrizi e plebei, che si concluse nel 367 a.C. con le leggi Licinie-Sestie che stabilivano: la riduzione dei debiti, un limite massimo per le terre ottenute dalle conquiste e la norma, in base alla quale uno dei due consoli doveva essere plebeo; quest'ultimo apriva la strada del senato anche ai plebei, infatti alla fine del suo incarico il console diventava membro del senato. Inoltre, attraverso le leggi Licinie-Sestie, si costituì una nuova classe: la nobilitas senatoria, composta dalle famiglie patrizie e dai più ricchi plebei. La vita politica di Roma si basava sulla partecipazione dei cittadini-soldati alle decisioni, ma non divenne mai una democrazia; la nuova classe, la nobilitas riuscì a controllare la vita politica romana, modificando il rapporto di clientela che si basò sempre di più sulla fedeltà elettorale del cliente per il padrone. Infatti durante le assemblee dei comizi tributi, i clienti assicuravano il proprio voto ai padroni, mentre nei comizi centuriati il sistema di voto per censo garantiva la maggioranza alla classe della nobilitas. Il potere maggiore si concentrò nel senato, che cominciò ad avere sempre più funzioni: gestiva la politica esterna, formulava le leggi, controllava le spese dello stato ecc...

 

La conquista della penisola

La pace raggiunta con le Leggi Licinie-Sestie, permise a Roma di riprendere la politica di espansione; attorno alla metà del IV sec. a.C. Roma sconfisse tutte le città del Lazio, ristabilendo la propria egemonia e sciogliendo quindi la federazione latina nel 340 a.C.

L'occasione per espandersi fu la richiesta d'aiuto di Capua, che era minacciata dai Sanniti; inizio quindi una lotta in cui era in gioco il controllo di tutta l'Italia centrale. Così dal 343 al 290 a.C. si tennero tre guerre contro i Sanniti, nel 321 a.C. Roma subì una sconfitta umiliante nelle Forche Caudine, mentre nella terza guerra Roma sconfisse una grande alleanza antiromana, nella battaglia di Sentino 259 a.C. Padrona dell'Italia centrale, Roma si trovò a contatto con la Magna Grecia, molte città chiesero la sua alleanza; ma Taranto nel 282 a.C. chiese l'aiuto di Pirro, re dell'Epiro poiché si sentiva minacciata da Roma. Pirro sbarcò in Italia nel 280 a.C. e sconfisse due volte i romani, sia per la superiorità militare sia per la presenza degli elefanti che disorientarono i soldati romani. Dopodiché Pirro raggiunse la Sicilia dove distrusse i cartaginesi e si proclamò re dell'isola, ma si scontrò con Siracusa e le altre città, fu costretto quindi a ritirarsi, ma venne sconfitto a Benevento nel 275 a.C., anche Taranto si arrese ai romani, che nel III sec. a.C. che avevano sotto il loro dominio tutta l'Italia peninsulare.

 

La prima guerra punica

La conquista della Magna Grecia, portò Roma a contatto con Cartagine, che già da tempo era impegnata nella lotta contro le colonie greche in Sicilia. La città di Cartagine, o punica, era amministrata da un'oligarchia di mercanti e di grandi proprietari terrieri, a capo dello stato vi erano due suffetti (magistrati con incarico annuale), eletti dal consiglio degli anziani formato da trecento membri; l'esercito era costituito da mercenari, mentre i cittadini facevano parte della flotta militare. Tra Roma e Cartagine vi era una convivenza pacifica, che durava da due secoli, durante i quali erano stati stipulati tre trattati di commercio e alleanza.

Dopo il passaggio della Magna Grecia sotto le mani di Roma, il rapporto si incrinò; infatti entrambe le città volevano il controllo della Sicilia e soprattutto dello stretto di Messina. Il conflitto tra Roma e Cartagine cominciò nella Sicilia, a causa dei Mamertini (figli di Marte), che dopo aver chiesto aiuto a Cartagine per il controllo di Siracusa, fece altrettanto a Roma per liberarsi dei cartaginesi. Il senato incerto sul da farsi, delegò la decisione al comizi centuriati, che pressati dal consoli, decisero di intervenire, così nel 246 a.C. i legionari sbarcarono sull'isola sconfiggendo i cartaginesi e arrivando fino ad Agrigento. Inoltre
per battere definitivamente Cartagine, Roma impedì gli aiuti e i rifornimenti che giungevano via mare; grazie all'aiuto degli alleati (greci ed etruschi) allestì una flotta militare che sconfisse a Milazzo quella cartaginese nel 260 a.C. Un tentativo, fu lo sbarco in Africa guidato dal console Attilio Regolo, ma non trovò successo. Solo nel 241 a.C. Cartagine si arrese, dopo una dura sconfitta navale presso le Isole Egadi; per la sconfitta le furono imposte: L'abbandono della Sicilia e il pagamento d'indennità di guerra enorme (pari a 83 tonnellate di argento).

Negli anni seguenti Roma, si impadronì della Sardegna e della Corsica, sottomise i Celti e occupò le coste della Illiria.

 

La seconda guerra punica

Dopo la pesante sconfitta contro Roma, a Cartagine salì al potere la famiglia Barca; favorevole a una politica di espansione territoriale. Infatti voleva rimediare ai danni provocati dalla guerra occupando la Spagna, qui fu inviato Amilcare, che rafforzò il dominio punico come un sovrano indipendente, cosa che fece preoccupare Roma. Annibale, figlio di Amilcare, espugnò Sagunto nel 219 a.C.; l'anno dopo con un esercito e 37 elefanti attraversò le Alpi e alleandosi alle popolazioni celtiche sconfisse le legioni romane presso:Ticino e Trebbia nel 218 a.C. e al lago Trasimeno nel 217 a.C. Il suo intento era abbattere la potenza romana, sollevandoli contro le popolazioni italiche. A Roma, in questa situazione di pericolo, fu eletto dittatore Quinto Fabio Massimo; che voleva prendere tempo per evitare scontro frontali con Annibale, proprio per questo fu sostituito da nuovi consoli che diedero battagli a Annibale. I romani furono sconfitti
il 2 agosto del 216 a.C. a Canne, perdendo otto legioni e il console Lucio Emilio Paolo. Annibale al contrario delle voci, non marciò su Roma, preferendo raccogliere i frutti della vittoria e aspettare che Roma capitolasse. Ma nel 215 a.C. il re Filippo V di Macedonia preoccupato del sostegno romano verso le città greche, si schierò con i punici. Così a Roma ritornò al potere Quinto Fabio Massimo, questa volta eletto console, con una nuova tattica: logorare le forze di Annibale con la guerriglia (tecnica per cui allo scontro aperto tra due eserciti si preferiscono gli assalti o gli agguati; viene contro un nemico numericamente o tecnicamente più forte) senza uno scontro diretto. Dopo aver bloccato un'offensiva in Illiria, i romani conquistarono nel 211 a.C. la Campania e Siracusa, mentre in Spagna Publio Cornelio Scipione distrusse nel 209 a.C. la base militare di Nuova Cartagine; nel 207 a.C. fu sconfitta una spedizione proveniente dall  Spagna guidata dal fratello di Annibale: Asdrubale. Contro il parere del senato, Scipione tentò lo sbarco in Africa per sfruttare la superiorità romana sul mare; nel 201 a.C. a Zama Scipione riuscì a sconfiggere definitivamente Annibale (questa battaglia valse a Scipione il soprannome <<dell'Africano>>. Roma impose ai vinti delle condizioni di pace durissime: La consegna della flotta militare, Indennità di guerra pesantissima (pari a 260 tonnellate di argento) e Autorizzazione di Roma per qualunque azione militare, Cartagine avesse voluto fare, anche difensive.

 

Roma e l'ellenismo

Con la pace tra Roma e Cartagine, nel 202 a.C  si definì la supremazia di Roma sul resto del Mediterraneo e dell'Occidente. Dalle guerre puniche, Roma aveva imparato a muoversi oltre l'Italia, a combattere su mare, acoordinare le operazioni terrestri e navali e a rinascere dalle sconfitte; per di più aveva accettato di affidarsi a uomini capaci di prendere delle iniziative autonome e a aveva preso conoscenza della sua superiorità militare. Agli inizi del II sec. si aprì un dibattito sulla politica che Roma doveva tenere con la Grecia e l'Oriente. Scipione e suo fratello Lucio volevano condurre una politica di tipo egemonico (di controllo indiretto) a lui si opposero i difensori della tradizione romana guidati da Marco Porcio Catone. Il senato accolse la richiesta delle polis greche contro Filippo V di Macedonia, sconfiggendo i macedoni nel 197 a.C. a Cinofale, poi toccò a Antioco III re dei Seleucidi, che ne 192 a.C. aveva invaso la Grecia e che presso la sua corte ospitava Annibale, ciò allarmava i romani. Per la spedizione contro i Seleucidi si candidò Scipione, ma il senato si oppose perché temeva che potesse acquisire troppo potere; ma non si poté opporre alla scelta dei comizi su suo fratello: Lucio Cornelio Scipione. La flotta romana batté quella di Antioco e vinse la battaglia di Magnasia nel 190 a.C.; con la Pace di Apamea Antioco fu costretto a versare un'indennità (circa 390 tonnellate di argento) e rinunciare all'Asia Minore.

In un primo momento sembrò prevalere la politica degli Scipioni, ma una serie di processi intentati da Catone rovinò la politica dei due fratelli e nel 183 a.C. l'Africano si ritirò a vita privata e lo stesso anno Annibale si suicidò. Col tempo le simpatie romane per la Grecia si  ttenuarono, in parte per l'ostilità che le città greche avevano verso la protezione opprimente dei romani, censita da due alleanze: la lega etolica e la lega achea. Ad aggravare la situazione fu il figlio di Filippo V, Perseo che condividendo la politica anti-romana del padre aveva scaturito una guerra con Roma che vedeva la vittoria delle legioni romane nel 168 a.C. A questo punto, il senato accantonò la politica degli Scipioni per un dominio più diretto sui territori dei nemici, l'Epiro fu distrutto, la Macedonia fu ridotta a provincia (territorio esterno alla penisola italica governato e di proprietà di Roma, soggetto a un pagamento di imposte e tasse) dopo l'ennesima rivolta nel 148 a.C., e dopo Corinto che fu resa provincia nel 146 a.C. la lega achea fu sciolta. In Occidente la politica di tipo diretto si affermò lentamente, ma con più fermezza.  Le tribù celtiche, alleate ad Annibale furono assoggettate nel 190 a.C. e le loro terre, furono distribuite ai cittadini romani ed andarono a creare
le colonie di: Bologna, Piacenza, Moden  e Parma. Nel 177 a.C. invece, furono domati i Liguri alleati dei Cartaginesi in entrambe le guerre puniche e le terre costituirono Luni e Lucca. Il territorio spagnolo fu diviso in Spagna Citeriore e Spagna Ulteriore, ma una serie di rivolte resero precario il dominio romano. Catone aveva cercato di  frenare il potere che stava acquisendo il senato, di sconfiggere la corruzione e insisteva sull'eliminazione di Cartagine; la città in questi anni si era ripresa nuovamente ricostruendo una prosperità economica. Massinissa, re della Numidia, estendeva i suoi domini oltre i confini di Cartagine, quest'ultima più volte aveva cercato l'autorizzazione di Roma per difendersi, ma non avendo mai risposta nel 150 a.C. di propria iniziativa entrò in conflitto con la Numidia. Questo fu usato da pretesto per Roma, che inviò in Africa otto legioni e dopo un assedio di due anni nel 146 a.C. Cartagine fu rasa al suolo, il territorio divenne provincia d'Africa; a guidare la spedizione fu Publio Cornelio Scipione Emiliano, che distrusse anche Numazia nel 133 a.C. I suoli della provincia era considerati
proprietà dello stato romano per diritto di conquista, e coloro che amministravano questi territori erano i governatori romani che avevano un potere illimitato, erano: comandanti militari, politici e giudici (da loro dipendeva la condanna dei reati principali). In poche parole, la provincia dipendeva interamente dal potere di Roma e dei suoi rappresentanti.

 

Le conseguenze dei conflitti

Tra il II e III sec. a.C. Roma si impadronì di ricchi territori del Mediterraneo, scoprendo che la guerra era un mezzo per accumulare enormi ricchezze, attraverso lo sfruttamento dei vinti. Ma i primi ad accusare i lati negativi delle conquiste furono i contadini-soldati, che costituivano la base dell'esercito; i conflitti li avevano allontanati dai terreni e al loro ritorno, trovarono campi incolti e debiti. Così furono costretti a cedere le terre ai proprietari terrieri, che estesero così i loro possedimenti e affittando a cifre irrisorie le parti migliori dell'agro pubblico (l'insieme delle terre conquistate ai nemici e appartenenti allo stato romano) ; si formarono così grandi latifondi (grande appezzamento di terra), rimpiazzando i contadini con gli schiavi. I contadini si trasferirono perciò nelle città, in particolare Roma; ma impoveriti si affidarono alle distribuzioni gratuite di cereali, da parte dello stato, e divenuti proletari, si legavano come clienti a qualche ricco aristocratico, che era disposto a distribuire la sportula (borsa piena di viveri). In questo modo, i contadini impoveriti non potevano arruolarsi nell'esercito, poiché non erano in grado di pagarsi l'armamento.

In questo momento Roma non aveva nessuna forma di burocrazia per amministrare i territori e affidò quindi importanti attività in appalto (i cittadini in cambio di una somma stabilita, svolgono un servizio che lo stato non soddisfa direttamente) al ceto dei cavalieri, costituito da mercanti e affaristi. Costoro dovevano riscuotere le imposte, ma ne versarono solo una parte di quello che prelevavano; in questo modo si arricchirono notevolmente e inoltre trassero profitti anche dalla crescita economica, ma continuavano a restare esclusi dalle cariche pubbliche.