Fin dal XV secolo a.C. i Siculi, come appare anche da decorazioni vascolari, ebbero relazioni commerciali con gli egeo-cretesi e, specie dal XII secolo in poi, anche i Fenici. L’immigrazione di questi ultimi in Sicilia si può assegnare tra l’XI e il X secolo, e naturalmente l’espansione fenicia in Sicilia si accrebbe dopo la fondazione di Cartagine (IX secolo) e si contrasse, dall’VIII secolo in poi, per la colonizzazione greca.

I principali empori fenici in Sicilia furono Soloeis (oggi Solunto), Mozia  (oggi isola di San Pantaleo, nella laguna detta «Lo Stagnone» nei pressi di Mar­sala. in provincia di Trapani); a Solunto e a Cannita (in provincia di Palermo); nella stessa città di Palermo; a Selinunte, a Favignana e ad Erice (in provincia di Trapani); nonché nell’isola di Pantelleria e ad Adranon, sul monte oggi chiamato Adranone (in provincia di Agrigento).

I Fenici, com’è noto, furono un popolo del vicino Oriente, il cui territorio era quello dell’attuale repubblica del Libano, sulle sponde del Mediterraneo orientale; ed ebbero vigore e potenza dal XII al IV secolo a.C.; sicché la loro esistenza storica si considera conclusa con la conquista della loro importante città di Tiro (l’altra loro importante città era Sidone) da parte di Alessandro Magno nel 332 a.C..

Furono un popolo di mercanti e navigatori, che non aveva mire di conquiste territoriali, bensì di penetrazione economica, che fu realizzata in tutto il bacino mediterraneo; e quindi essi risultano presenti non soltanto in Grecia e in Sicilia e nell’Italia meridionale, ma anche sulle coste francesi e spagnole, ed anche ol­tre lo stretto di Gibilterra, arrivando perfino nelle isole britanniche.

La colonizzazione dei Fenici, com’è noto, ebbe carattere commerciale: ma i loro suc­cessori, i Cartaginesi, trasformarono la penetrazione commerciale in occupazione militare, e pertanto vennero in lotta, come vedremo, coi Greci di Sicilia, esponenti d’altro sentire e di ben diversa civiltà.

Col prosperare dei loro commerci, i Fenici fondarono numerose colonie, oltre che in Sicilia, nell’ isola di Cipro, a Creta, nelle isole del mar Egeo, nella Spagna e in Africa settentrionale. La più importante tra le loro colonie fu quella di Cartagine, nell’odierna Tunisia, la cui fondazione rimonta all’804 a.C., che è la data fornita dallo storico siciliano Timeo da Taormina del iv secolo a.C.

La tradizione, accolta da Virgilio nell’Eneide, dice che questa città, che diven­ne la pericolosa rivale di Roma nel mondo mediterraneo, fu fondata dalla regina Didone.

Grazie ai Fenici i Siciliani furono fra le prime popolazioni a conoscere l’alfabeto. Infatti, data la loro attività prevalentemente economica, che aveva bisogno di notazioni particolari e durevoli per i loro commerci internazionali, i Fenici, verso l’anno 1000 a.C., crearono non uno, ma due alfabeti, di sole consonanti (le vo­cali furono poi aggiunte dai Greci); e li adoperarono l’uno per la zona fenicia settentrionale, quella delle città di Biblo, di Berito (oggi Beirut) e di Tripoli di Siria; e l’altro per la zona meridionale, con le famose città di Tiro e di Sidone.

Finì per prevalere l’alfabeto meridionale, composto da 22 segni, che si legge­vano da destra a sinistra.

È evidente il valore pratico di questo ritrovato, che è da considerare il progeni­tore di tutti gli alfabeti moderni, passando attraverso i caratteri prima greci e poi latini.

I Fenici non furono soltanto benemeriti nella cultura pratica, con l’invenzione dell’alfabeto, perché si rivelarono anche benementi nel campo tecnologico, coi miglioramenti apportati nell’arte della tessitura e della colorazione dei tes­suti stessi, per cui la rossa porpora dei Fenici fu per secoli il tessuto preferito nel bacino mediterraneo.

E’ interessante osservare che il termine greco di Phoenices deriva da Foinix che sta ad indicare il colore rosso della porpora, la quale costituiva uno dei cespiti più notevoli del commercio fenicio, assieme al vetro che loro stessi producevano, al rame che prendevano dall’isola di Cipro, al piombo e all’argento che ricavavano dalla Spagna, e allo stagno che trovavano nelle isole britanniche.

I Fenici lavoravano e utilizzavano, dunque, questi metalli, rivendendoli ai vari popoli del Mediterraneo. Abili commercianti, compravano in Egitto oggetti d’arte, droghe e profumi orientali, e li rivendevano poi a caro prezzo nell’area mediterranea.

Vanno anche ricordati per la perfezione raggiunta nel campo delle costruzioni navali, di cui è splendido esempio la nave punica ritrovata nel 1971 nei fondali del porto di Marsala (Trapani), ed oggi custodita nel Museo regionale del Ba­glio Anselmi della stessa città. E’ accreditata l’ipotesi che si tratti di una nave da guerra cartaginese, del tipo «li­burna», costruita a Marsala, e naufragata ivi poco tempo dopo il varo.

La più importante sede dei Fenici in Sicilia è senza dubbio l’isola di Mozia, nella laguna detta «Lo Stagnone» nei pressi di Marsala (Trapani); e che oggi si chiama «Isola di San Pantaleo» (ma lo stesso nome odierno non è che una deri­vazione del greco «panta leimona», che significa «tutto acqua stagnante»).

L’o­riginario nome fenicio, che si legge anche nelle monete ivi coniate, è MTVA,  probabilmente è derivato dalle attività tessili e tintorie che ivi si professavano, e che sono con­fermate dagli imponenti resti archeologici ivi trovati, e custoditi nel locale museo.

Il centro abitato di Mozia fu costituito nel tardo secolo VIII a.C.; e ben presto divenne la sede più notevole delle attività puniche in Sicilia. Questo spiega gli attacchi che Mozia subì nel VI secolo a.C. ad opera dei due condottieri greci Pentatlo e Dorieo, che tentarono di assoggettare all’influenza ellenica anche quella parte della Sicilia occidentale che era ancora rimasta sotto l’influenza di Cartagine; e soprattutto spiega l’accanimento dimostrato dal signore di Siracu­sa, Dionisio il Vecchio, che nel 397 a.C. distrusse Mozia, dopo averla a lungo assediata con la sua poderosa flotta, che era guidata da suo fratello, l’ammira­glio Leptine.

Saccheggiata la città, e crocifissi come traditori i Greci che aveva­no combattuto a fianco dei Moziesi, i superstiti in gran parte abbandonarono l’i­sola, e si recarono sulla terraferma, fondando la città di Lilibeo (poi chiamata Marsala dall’arabo Marsa Alì porto di Alì, e non da Marsa Allah, porto di Dio, come vorrebbero taluni disinformati).

Altro notevole centro fenicio in Sicilia è Solùnto (in provincia di Palermo. Gli scavi presentano oggi i re­sti della città fenicia denominata Soloeis o Solus, fondata nel IV secolo a.C. Una città preesistente ha la­sciato i suoi ruderi nella vicina località di Cannita, dove sono stati trovati anche sarcofaghi antropoformi, ora al museo regionale di Palermo.

La Palermo fenicia fu fondata nel secolo VIII a.C. ed ebbe forse il nome di Ziz, che si legge sulle sue monete, e significa «felice»; onde poi Palermo, nei secoli successivi, ebbe il tipico soprannome di Panormus felix. Il sito della Palermo fenicia è quello dell’odierno centro storico; ma scarse sono le vestigia fenicie, che si riscontrano soprattutto nell’antica necropoli punico-romana, che si trova nella zona della odierna piazza Indipendenza, ed era considerevolmente estesa. Si tratta di vasi e di urne cinerarie; ma più importanti sono le iscrizioni puniche, e i simboli punici, ritrovati nella grotta Regina del monte Gallo nei dintorni di Palermo.

A Selinunte — che è la colonia greca più occidentale che si trovi in Sicilia, e fu fondata da Megara Iblea nel 628 a.C., sicché era la punta più avanzata della gre­cità in pieno territorio punico — si incontrarono e si scontrarono le due civiltà, greca e punica, operanti nell’isola; e pertanto, accanto ai templi grandiosi della grecità, si trova il tipico cimitero punico detto tophet.