Ferdinando I di Borbone (Ferdinando Antonio Pasquale Giovanni Nepomuceno Serafino Gennaro Benedetto; Napoli, 12 gennaio 1751 – Napoli, 4 gennaio 1825) fu re di Napoli dal 1759 al 1799, dal 1799 al 1806 e dal 1815 al 1816 con il nome di Ferdinando IV di Napoli, nonché re di Sicilia dal 1759 al 1816 con il nome di Ferdinando III di Sicilia. Dopo questa data, con il Congresso di Vienna e con l'unificazione delle due monarchie nel Regno delle Due Sicilie, fu sovrano di tale regno dal 1816 al 1825 con il nome di Ferdinando I delle Due Sicilie.

Ferdinando è il primo sovrano nato nel Regno della casata dei Borbone di Napoli, ma terzo Borbone a regnare sulle Due Sicilie dopo il padre Carlo III di Spagna (primo Borbone a regnare sulle Due Sicilie indipendenti), nato a Madrid nel 1716, e il nonno Filippo V di Spagna, nato nel castello di Versailles nel 1683. Il suo regno, durato quasi sessantasei anni, è uno dei più lunghi della storia. È passato alla storia con i nomignoli di Re Lazzarone e di Re Nasone, affibbiatigli dai lazzari napoletani che, in giovane età, abitualmente frequentava.

Ferdinando I di Borbone, discendente in linea diretta del Re Sole, nacque nel Palazzo Reale di Napoli il 12 gennaio 1751 da Carlo di Borbone, re di Napoli e di Sicilia, e da Maria Amalia di Sassonia. La sua nascita non fu considerata un grande evento, poiché era il figlio maschio terzogenito della coppia reale. Prima di lui, oltre a cinque principessine (quattro delle quali morte in tenera età), erano nati Filippo, erede al trono napoletano, e Carlo Antonio, rispettivamente nel 1747 e nel 1748. Per lui si doveva prospettare un futuro da religioso, infatti la madre lo voleva cardinale e forse anche erede del trono papale. La sua educazione fu affidata al principe di Sannicandro Domenico Cattaneo Della Volta.

Ferdinando I è stato stigmatizzato dalla storiografia maggioritaria in ragione dei suoi atteggiamenti poco regali, tuttavia non mancano gli episodi della sua vita che ci restituiscono il ritratto di un uomo dotato anche di buon senso, e capace di comprendere il popolo che governava. Tra i tanti episodi della sua giovinezza, uno può essere citato come esempio del suo carattere. Un mattino, mentre era sulla spiaggia di Chiaia, fu sfidato da un pescatore in una gara di velocità in barca, scommettendo un'alta cifra. Ferdinando era dotato di un fisico atletico e molto robusto ed accettò la sfida. Nonostante la forza dello sfidante, la vittoria andò al Re. Egli prese la somma scommessa dal pescatore sconsolato. Il giorno seguente, lo stesso Ferdinando mandò due guardie a restituire la somma allo sfidante e a dare dodici volte la somma della scommessa.

Destinato a non assumere incarichi nel governo del proprio paese, ebbe quindi l'occasione di passare una giovinezza non condizionata dal rigore educativo che invece veniva applicato agli eredi al trono. Il suo destino fu tuttavia cambiato da due importanti eventi. Nel 1759 suo zio Ferdinando VI, re di Spagna, morì senza lasciare eredi. Come conseguenza, Carlo assunse la più prestigiosa corona di Spagna, portando con sé Carlo Antonio quale successore. Dato che il primogenito Filippo era stato escluso dalla successione perché demente, la partenza per la Spagna del Re e del delfino mise Ferdinando nella inopinata posizione di essere l'erede al trono di Napoli.

 

Prima reggenza (1759-1799)

La partenza del padre e del fratello maggiore per la Spagna portarono dunque Ferdinando I al trono di Napoli e a quello di Sicilia a soli otto anni. Data la minore età del sovrano, gli si affiancò un Consiglio di Reggenza, presieduto dal toscano Bernardo Tanucci, il quale si trasformò in Consiglio di stato al raggiungimento della maggiore età.

Refrattario allo studio ed agli impegni della vita di corte, il giovane re non s'interessò quasi per niente della politica del regno, lasciando la maggior parte dei compiti a Tanucci e agli altri componenti del Consiglio. Gli anni della giovinezza furono spesi andando spesso a caccia in compagnia del suo menińo Gennarino Rivelli e dei liparioti, un gruppo di fedelissime guardie del corpo: seguendo l'esempio del nonno, anche Ferdinando II delle Due Sicilie ebbe i liparioti come guardie del corpo.

Nonostante le manchevolezze presenti nella sua formazione, Ferdinando si impegnò per favorire la cultura, in continuità del lavoro di suo padre. Fu anche grazie ai suoi sforzi che il Regno di Napoli si ritrovò a rivaleggiare con gli altri ricchi reami d'Europa.

Tra le iniziative di governo intraprese in questo periodo va ricordata l'istituzione del centro di selezione equina di Serre (1763), finalizzata a rinsaldare le tradizioni cavallerizze napoletane e che diede origine ad una stirpe di robusti cavalli, valorizzati anche durante il periodo francese. Nel 1778 trasferì nel Palazzo Reale di Napoli la fabbrica di arazzi napoletani, apprezzati in tutto il mondo per la loro qualità. Nel 1779 fondò la manifattura di San Leucio, oggi sito patrimonio dell'umanità dell'UNESCO, che divenne presto un polo di eccellenza della produzione tessile. Sul finire del settecento fece erigere nella zona di Ponte Nuovo a San Lorenzo, il Teatro San Ferdinando.

Conformemente a quanto dettato dagli usi del tempo, Ferdinando si preoccupò di assicurare al più presto una discendenza sul trono di Napoli. Nel quadro delle alleanze tra famiglie regnanti europee, egli stimò utile legare la propria famiglia a quella asburgica ed iniziò una fitta serie di contatti con l'Imperatrice Maria Teresa d'Austria. Le trattative tra le due parti furono segnate da una serie di eventi sfortunati, in quanto sia la prima principessa prescelta, l'Arciduchessa Maria Giovanna Gabriella d'Asburgo-Lorena, che la seconda, l'Arciduchessa Maria Giuseppina d'Asburgo-Lorena, entrambe destinate alle nozze con Ferdinando, morirono di vaiolo. Solo nel 1768 fu stipulato il terzo e ultimo contratto nuziale, che portò alle nozze per procura di Ferdinando con l'Arciduchessa Maria Carolina d'Asburgo-Lorena. Consolidato il legame da un punto di vista formale, la sposa partì dall'Austria alla volta del Regno di Napoli, dove fu accolta da Ferdinando in località Portella di Monte San Biagio nei pressi di Terracina.

Il contratto matrimoniale prevedeva l'entrata della regina nel Consiglio di Stato quando avesse partorito il primo figlio maschio, cosa che avvenne alla nascita di Carlo Tito nel 1775: Carlo Tito visse soli tre anni e morì nel 1778 di vaiolo, lasciando il diritto di successione al secondogenito maschio. La posizione di influenza di Maria Carolina fu inoltre ulteriormente rinforzata dalla nascita nel 1777 del secondo figlio maschio, Francesco, futuro re delle Due Sicilie.

L'ingresso della regina nel consiglio determinò un progressivo cambiamento della politica napoletana, la quale divenne progressivamente filoaustriaca. In questo, Maria Carolina fu aiutata dal disinteresse mostrato dal marito per gli affari di Stato, che le lasciò campo libero. Le prime conseguenze del nuovo corso furono il licenziamento del Tanucci (1777) e l'appoggio al ministro John Acton, che aveva prestato opera nel Granducato di Toscana, cui Maria Carolina si legò di un'intima amicizia. L'orientamento filoaustriaco di Ferdinando I fu inoltre favorito dalla conoscenza diretta dei cognati, l'imperatore d'Austria Giuseppe II e il Granduca di Toscana Leopoldo II d'Asburgo-Lorena, avvenuta nel 1778.

La nomina di Acton nel 1779 al Ministero del Commercio e Marina fu un passaggio di grande rilievo, che diede inizio alla riorganizzazione delle forze armate del Regno. Sotto la sua direzione la Real Marina del Regno delle Due Sicilie conobbe un potente impulso, che aveva come scopo finale l'approntamento di una flotta militare che consentisse di condurre campagne espansionistiche.

Per raggiungere questo scopo Acton riordinò l'organizzazione della flotta, suddividendola nelle Squadre dei Vascelli e degli Sciabecchi. Contemporaneamente diede impulso all'accrescimento del numero di unità disponibili, da un lato acquistando vascelli e fregate, e dall'altro fondando il famoso Cantiere navale di Castellammare di Stabia, che fu subito il motore di un vasto programma di nuove costruzioni. Oltre all'accrescimento quantitativo della flotta, Acton si preoccupò di migliorare la formazione degli ufficiali, ampliando il Collegio di Marina esistente ed inviando alcuni giovani guardiamarina con altri ufficiali a prestare temporaneo servizio su navi delle maggiori Marine militari europee. Allo scopo di garantire alla flotta capacità tattiche d'intervento sul fronte di terra, istituì il Reggimento Real Marina.

Grazie al suo lavoro nel 1788 la Marina napoletana arrivò a contare trentanove navi armate di novecentosessantadue cannoni così ripartite: quattro vascelli di fila, di cui tre da settantaquattro cannoni e uno da sessanta; otto fregate, di cui sei da quaranta cannoni e due da trentacinque; un'orca da trentasei cannoni; sei corvette, di cui quattro da venti cannoni e due da dodici; sei sciabecchi, di cui due da ventiquattro cannoni e quattro da venti; quattro brigantini da dodici cannoni; dieci galeotte da tre cannoni.

Nello stesso anno, l'organico dell'Armata di Mare contava 2128 fanti di marina, 470 cannonieri, 270 marinai di posto fisso, quattro capitani di vascello, dieci capitani di fregata e un gran numero di ufficiali di grado inferiore.

Anche dal punto di vista dell'ordinamento delle forze di terra compì passi importanti, con particolare riferimento alle politiche di formazione. Al termine di un lungo periodo di valutazione, che comprese tra l'altro lo studio dei sistemi di addestramento praticati nelle maggiori nazioni europee, nel 1787 fondò la Reale Accademia Militare della Nunziatella, attualmente tra i più antichi istituti di formazione militare del mondo, con il compito di formare quadri ufficiali eccellenti.

Le mire espansionistiche della Francia preoccuparono fortemente Ferdinando IV che, come prima misura, nel 1786 chiamò a Napoli un geografo di chiara fama, il padovano Giovanni Antonio Rizzi Zannoni, al quale commissionare la redazione di mappe aggiornate del Regno di Napoli, sulle quali studiare i punti critici e le possibili armi di difesa della nazione. In quegli stessi anni Ferdinando IV completò il passaggio della collezione Farnese, portando a Napoli le sculture romane del palazzo Farnese di Roma.

Negli anni successivi alla Rivoluzione francese, per rendersi conto in prima persona del confine di Stato e della sua eventuale difesa, lo stesso sovrano coordinò gli alti generali, tra cui John Acton che lo seguì, in un viaggio iniziato nel 1796, durante il quale iniziò a stilare un taccuino, il diario segreto, continuato per tutta la vita, con annotazione della cronaca, degli spostamenti, degli incontri e della quotidianità.

 

Rivoluzione Francese

Allo scoppiare della Rivoluzione Francese, nel 1789, non vi furono immediate ripercussioni a Napoli. Fu solo dopo la caduta della monarchia francese e la morte sulla ghigliottina dei reali di Francia, che la politica del Re di Napoli e Sicilia Ferdinando IV e della sua consorte Maria Carolina d'Asburgo-Lorena (tra l'altro sorella della regina Maria Antonietta), cominciò ad avere un chiaro carattere antifrancese e antigiacobino. Il Regno di Napoli aderì alla prima coalizione antifrancese e cominciarono le prime, seppur blande, repressioni sul fronte interno contro le personalità sospettate di "simpatie" giacobine.

Nel 1796 le truppe francesi, guidate da Napoleone Bonaparte, cominciarono a riportare significativi successi in Italia. Le armate napoletane, pur forti di circa trentamila uomini, il 5 giugno furono costrette all'armistizio di Brescia. Nei due anni successivi i Francesi continuarono a dilagare in Italia. L'una dopo l'altra vennero proclamate delle repubbliche "sorelle", filofrancesi e giacobine (la Repubblica Ligure e la Repubblica Cisalpina nel 1797; la Repubblica Romana nel 1798). Nel frattempo Napoleone aveva spostato la propria attenzione dall'Italia all'Africa ed aveva intrapreso la campagna d'Egitto.

Nonostante la stipula del suddetto armistizio di Brescia (poi ratificato nel Trattato di Parigi), con Napoleone in Egitto e i Francesi a Roma, il Regno di Napoli entrò nuovamente in guerra contro questi ultimi il 23 ottobre del 1798. Le forze napoletane, costituite da settantamila uomini reclutati in poche settimane e comandate dal generale austriaco Karl Mack von Leiberich, si lanciarono all'attacco della Repubblica Romana con l'intenzione dichiarata di ristabilire l'autorità papale. L'esercito napoletano fu appoggiato sul fronte di mare dalla flotta inglese comandata dall'ammiraglio Horatio Nelson, vincitore di Abukir. Dopo solo sei giorni Ferdinando IV entrò a Roma con atteggiamenti da conquistatore, cosa che gli attirò salaci critiche. Tuttavia, il successivo 14 dicembre una risoluta controffensiva francese costrinse i Napoletani ad una rapida ritirata che ben presto si trasformò in rotta.

Il Re tornò temporaneamente a Napoli e, vista l'insostenibilità della situazione, decise di abbandonare la capitale alla volta della Sicilia. A tale scopo, fu predisposto il trasferimento dei principali beni mobili (opere d'arte, ori e gioielli) della Corona, con conseguente smembramento di una parte del tesoro del Regno di Napoli, che doveva ammontare a 2.083.734,19 ducati. Il 21 dicembre 1798 si imbarcò sul Vanguard di Nelson, in compagnia della famiglia e di John Acton, diretto alla volta di Palermo. Prima di partire, conferì al conte Francesco Pignatelli i poteri di rappresentanza, in virtù dei quali quest'ultimo impartì l'ordine di distruggere la flotta, che venne data alle fiamme.

Il 12 gennaio 1799 Pignatelli concluse un armistizio che prevedeva la resa di Napoli alle truppe francesi, a seguito del quale, tuttavia, i lazzari, devoti al re, si sollevarono, schierandosi a difesa della città. Nonostante la strenua resistenza dei lazzari, il 20 gennaio i filofrancesi napoletani, passati nel frattempo all'azione, riuscirono con uno stratagemma a raggiungere Castel Sant'Elmo, dal quale cominciarono a bombardare alle spalle i difensori, mietendo in tutto circa 3.000 vittime tra la popolazione civile. Una volta dispersa la resistenza, i Francesi entrarono a Napoli e, con l'aiuto di alcuni nobili e borghesi, fondarono la Repubblica Partenopea (23 gennaio 1799).

 

Ferdinando I a Palermo e la Repubblica Napoletana

La Famiglia Reale arrivò a Palermo accolta dal popolo siciliano. Il poco tempo passato da Re Ferdinando nell'isola fu caratterizzato dalla caccia e dal pensiero di riconquista della città di Napoli.

Il 7 maggio le truppe francesi furono richiamate nel Nord Italia, lasciando sguarnita la capitale. Approfittando dell'occasione, il cardinale Fabrizio Ruffo mise insieme il cosiddetto Esercito della Santa Fede, composto da venticinquemila uomini e supportato dall'artiglieria inglese. Dopo una rapida risalita della Calabria, i sanfedisti si ricongiunsero ai lazzari capeggiati dal bandito Fra Diavolo nella riconquista di Napoli, determinando il crollo della Repubblica Partenopea.

Tornato dunque sul trono dopo pochi mesi, Re Ferdinando dichiarò subito decaduta l'onorevole capitolazione offerta da Ruffo agli ultimi repubblicani (peraltro non accettata neppure da Nelson) e nominò una giunta per dare inizio ai processi. Nei mesi seguenti su circa ottomila prigionieri, centoventiquattro furono mandati a morte (tra cui Mario Pagano, Ignazio Ciaia, Domenico Cirillo, Eleonora Pimentel Fonseca), sei furono graziati, duecentoventidue vennero condannati all'ergastolo, trecentoventidue a pene minori, duecentottantotto alla deportazione e sessantasette all'esilio, mentre tutti gli altri furono liberati.

Dopo aver completato la riconquista del regno, Ferdinando si preoccupò di ricollocare sul trono papale il deposto pontefice. Organizzata una forte spedizione militare, entrò nei territori vaticani. Il 27 settembre 1799 l'esercito napoletano riconquistò Roma, che era già stata abbandonata dai francesi il 19 settembre, mettendo fine all'esperienza rivoluzionaria nello Stato Pontificio.

La Famiglia Reale ritornò a Napoli il 31 gennaio 1801, accolta da festeggiamenti, archi, carri allegorici e luminarie. Nel 1801 le truppe napoletane che tentavano di raggiungere la Repubblica cisalpina, furono sconfitte a Siena da Gioacchino Murat. Allo scontro seguì l'armistizio di Foligno, il 18 febbraio 1801, e in seguito la pace di Firenze che prevedeva, tra l'altro, l'amnistia per i repubblicani filofrancesi.

Con la pace di Amiens, stipulata dalle potenze europee nel 1802, Napoli e la Sicilia furono provvisoriamente liberate dalle truppe francesi, inglesi e russe.

 

Terza Coalizione

Allo scoppio delle ostilità tra Austria e Francia nel 1805, Ferdinando firmò un trattato di neutralità con quest'ultima. Alcuni giorni dopo, tuttavia, si alleò con l'Austria nella Terza Coalizione e permise ad un corpo di spedizione Anglo-Russo di entrare nel Regno per difenderlo dalle truppe francesi che, al comando di Laurent de Gouvion-Saint Cyr, manovravano vicino alla frontiera. In seguito alla disfatta subita il 2 dicembre nella Battaglia di Austerlitz, i Russi lasciarono l'Italia, mentre gli Inglesi si ritirarono in Sicilia.

Ai primi di febbraio del 1806 le truppe francesi, riorganizzate e poste sotto il comando di Andrea Massena, invasero il Regno di Napoli, ma già il 23 gennaio 1806 Ferdinando si era imbarcato sull'Archimede alla volta di Palermo.

I principi reali Francesco, cui era stata affidata la reggenza, e Leopoldo, raggiunsero l'esercito in Calabria.

Il 14 febbraio 1806 i francesi entrarono di nuovo a Napoli. Napoleone dichiarò decaduta la dinastia borbonica e proclamò suo fratello Giuseppe Bonaparte Re di Napoli. Egli regnò dal 1806 al 1808, quando Napoleone lo proclamò Re di Spagna.

La fortezza di Gaeta, comandata dal principe Luigi d'Assia-Philippsthal, cugino della regina Maria Carolina, fu messa sotto assedio il 26 febbraio dalle forze comandate da Andrea Massena. Il fortilizio fu a lungo l'ultimo lembo di territorio continentale rimasto in sole mani borboniche. La concentrazione di truppe francesi su questo assedio non fu inizialmente possibile, in quanto scoppiarono una rivolta in Calabria, fomentata dai Borbone e dagli inglesi. Nello stesso periodo questi ultimi riportarono una vittoria nella battaglia di Maida contro circa cinquemilacinquecento soldati del generale Reyner. Fu solo il 18 luglio che anche quest'ultimo presidio fu costretto ad arrendersi.

Il 3 marzo l'esercito borbonico agli ordini del generalissimo Roger de Damas, un emigrato francese, fu sconfitto nella Battaglia di Campotenese dalle truppe comandate da Jean Reynier.

Il 27 marzo anche la fortezza di Civitella del Tronto, comandata dall'irlandese Matteo Wade, fu messa sotto assedio da parte di duemila soldati agli ordini di Frégeville, i quali saccheggiarono i dintorni. Nonostante la prolungata resistenza, facilitata anche dai rifornimenti portati dai briganti di Sciabolone, Civitella si arrese il 21 maggio. Pochi giorni prima, il 12 maggio, gli inglesi e i siciliani avevano occupato le isole di Capri e Ponza.

La rivolte di Basilicata e Calabria furono represse nel sangue dai francesi (basti pensare al massacro di Lauria) e non si ripeté quanto accaduto nel 1799 alla Repubblica Partenopea. Giuseppe Bonaparte fu mandato a regnare in Spagna dal fratello Napoleone e il trono napoletano andò nelle mani del Maresciallo dell'Impero di Francia, Gioacchino Murat. A Napoli il nuovo re, ormai noto come "Gioacchino Napoleone", fu ben accolto dalla popolazione, che ne apprezzava la bella presenza, il carattere sanguigno, il coraggio fisico, il gusto dello spettacolo e alcuni tentativi di porre riparo alla sua miseria.

Durante il suo breve regno, Murat fondò, con decreto del 18 novembre 1808, il Corpo degli ingegneri di Ponti e Strade (all'origine della facoltà di Ingegneria a Napoli, la prima in Italia), ma condannò alla chiusura, con decreto del 29 novembre 1811, la gloriosa Scuola medica salernitana, primo esempio al mondo di Università. Avviò inoltre opere pubbliche di rilievo non solo a Napoli (il ponte della Sanità, via Posillipo, nuovi scavi ad Ercolano, il Campo di Marte ecc.), ma anche nel resto del Regno (l'illuminazione pubblica a Reggio di Calabria, il progetto del Borgo Nuovo di Bari, il riattamento del porto di Brindisi, l'istituzione dell'ospedale San Carlo di Potenza ecc.).

Nel 1807 Re Ferdinando tentò di riconquistare il regno, inviando in Calabria un esercito comandato dal principe tedesco Assia-Philippsthal, ma questi fu sconfitto dall'esercito francese comandato dal generale Reynier nella battaglia di Mileto del 28 maggio.

 

Ferdinando torna in Sicilia (1806-1815)

Arrivato a Palermo nel gennaio 1806, si insediò a Palazzo Reale e mantenne il controllo della Sicilia, anche grazie all'appoggio dell'Inghilterra. Presto nacquero dei contrasti tra la corte borbonica e Lord William Bentinck, ministro plenipotenziario e comandante delle truppe britanniche. Lord William Bentinck, l'ambasciatore inviato in Sicilia nel luglio 1811. Il 16 gennaio 1812, attraverso lord Bentinck, Ferdinando III, con il pretesto di una finta ed improvvisa malattia, fu obbligato a rinunciare ai suoi poteri, nominando reggente il figlio Francesco e a trasferirsi in campagna, a Ficuzza. Fu concessa una nuova Costituzione Siciliana, ispirata al modello inglese. A Palermo, il 19 luglio 1812, il Parlamento siciliano, riunito in seduta straordinaria, promulgò la nuova Costituzione, decretò l'abolizione della feudalità in Sicilia ed approvò una radicale riforma degli apparati statali.

La nuova carta costituzionale, invisa da Ferdinando, che però non vi si poté opporre a causa delle pressioni britanniche, ma anche per via delle insistenze di suo figlio, il principe vicario, finì con il diventare un eccellente strumento di propaganda per i Borbone, mentre fu deplorata da molti dei nobili che l'avevano votata, quando s'accorsero che essa toglieva loro l'antico potere.

Il 5 luglio 1814, Ferdinando III, dopo aver annunciato la fine della sua lunga degenza, riprese possesso delle sue funzioni, mantenendo in vigore, almeno formalmente, la costituzione e dichiarandosi intenzionato a restituire armonia nel regno siciliano. Dietro pressioni britanniche, Maria Carolina, accusata di complotto verso l'Inghilterra, era stata allontanata dalla Sicilia e costretta a ritirarsi a Vienna, dove morì l'8 settembre 1814. Il 27 novembre 1814, ormai sessantatreenne, Ferdinando sposa, con matrimonio morganatico, la più giovane Lucia Migliaccio, vedova di Benedetto III Grifeo principe di Partanna e già madre di sette figli.

 

La Restaurazione e il regno delle Due Sicilie

Il 23 aprile 1814, Lord Montgomery, il vice di Bentinck, si sporse dal parapetto di babordo della nave Abukir annunciando la caduta di Napoleone al Re Ferdinando, che intanto era accorso al Molo.

Nel frattempo anche l'era murattiana stava per volgere al termine. L'esercito del Re Gioacchino fu duramente sconfitto nella Battaglia di Tolentino e il popolo napoletano iniziò ad inneggiare al ritorno del Re Nasone.

Dopo il recepimento delle norme stabilite al Congresso di Vienna, in particolare dopo il Trattato di Casalanza, firmato presso Capua il 20 maggio 1815, consentì a Ferdinando di riprendere possesso, il 7 giugno 1815, del Regno di Napoli. Ai Borbone, però, non furono retrocessi Malta, che restò protettorato britannico, ed i Presidii, che furono assegnati al Granducato di Toscana.

Dopo la seconda caduta di Napoleone, Murat, che aveva cercato di raggiungerlo a Parigi, fuggì a Rodi Garganico che lo ospitò nel proprio castello e da dove tentò di tornare a Napoli con un pugno di fedelissimi per sollevarne la popolazione. Dirottato da una tempesta in Calabria, fu arrestato, condannato a morte da un tribunale militare nominato dal generale Vito Nunziante, governatore delle Calabrie, secondo una legge da lui stesso voluta, e fucilato a Pizzo Calabro il 13 ottobre 1815. Murat, prima di morire, disse di quel tribunale voluto da Ferdinando I: <<Io avrei creduto il re Ferdinando più grande e più umano. Io avrei agito più generosamente verso di lui se fosse sbarcato nei miei stati, e che la sorte dell'armi lo avesse fatto cadere in mio potere!>>

Alla fine del 1816, con la Legge fondamentale del Regno delle Due Sicilie, Ferdinando, fino ad allora III di Sicilia e IV di Napoli, istituì una nuova entità statuale, il Regno delle Due Sicilie, ed assunse il titolo di Re del Regno delle Due Sicilie. Gli ultimi anni di regno di Ferdinando I di Borbone sono caratterizzati da fermenti carbonari e antiborbonici che, nel luglio del 1820, porteranno ai moti avvenuti anche in altre parti d'Europa, durante i quali Ferdinando si vide costretto a firmare la Costituzione, ritirata subito dopo la repressione dei moti carbonari.

Ferdinando morì il 4 gennaio 1825, all'età di settantatré anni e dopo sessantasei anni di regno, e fu sepolto nella Basilica di Santa Chiara, sepolcreto ufficiale dei Borbone delle Due Sicilie.