Giovanna di Trastamara, o Giovanna di Aragona e Castiglia, conosciuta anche come Giovanna la Pazza (in castigliano Juana I de Trastámara, o Juana la Loca, in catalano Joana d'Aragó i de Castella o Joana la Boja; Toledo, 6 novembre 1479 – Tordesillas, 12 aprile 1555), è stata duchessa consorte di Borgogna, delle Fiandre e altri titoli dal 1496 al 1506, principessa delle Asturie dal 1498 al 1504 e principessa di Girona dal 1498 al 1516, regina di Castiglia e León dal 1504 al 1555, poi regina dell'Alta Navarra dal 1515 al 1555 e, infine, regina di Aragona, Valencia, Sardegna, Maiorca, Sicilia e Napoli e contessa di Barcellona e delle contee catalane dal 1516 al 1555. Discendente dal casato di Trastamara, era la figlia terzogenita del re di Sicilia e re della corona d'Aragona e futuro re dell'Alta Navarra, Ferdinando II (noto come Ferdinando il Cattolico) e della regina di Castiglia e León (Isabella I la Cattolica). Fu la madre di Carlo di Gand, futuro imperatore del Sacro Romano Impero col nome di Carlo V.

La politica matrimoniale tipica per l'epoca di Ferdinando e Isabella, Reyes Católicos come li aveva titolati nel 1494 papa Alessandro VI Borgia, sempre attenta a intrecciare unioni utili agli interessi della casata sul piano internazionale, Giovanna fu deciso che sarebbe diventata moglie di Filippo d'Asburgo detto Filippo il Bello, secondo figlio dell'imperatore Massimiliano I. Questa unione è considerata una delle scelte di politica matrimoniale meglio riuscite nella storia europea: l'erede di Giovanna e di Filippo sarebbe divenuto possessore di un territorio vastissimo oltre che pretendente alla Corona imperiale.

Il tema centrale della storia di Giovanna è la sua, vera o presunta, follia. Le ricerche di Gustav Adolf Bergenroth e gli studi di Karl Hillebrand gettano nuova luce su un fatto storico archiviato frettolosamente, secondo questi studiosi, sotto la voce pazzia. Fatto che ha visto vittima non solo una regina ma anzitutto una donna sacrificata, secondo questi studiosi, non alla ragion di stato bensì all'egoismo personale e politico di un padre prima, di un figlio poi, con un breve intermezzo coniugale in cui un marito colpiva negli affetti e nella femminilità una donna la cui vera colpa era di essere regina e di avere espresso, fin dalla fanciullezza, un anticonformismo religioso inconsueto per i tempi. Questo atteggiamento le aveva scatenato contro la madre Isabella Regina di Castiglia, la parte più retriva della gerarchia cattolica e Ferdinando II d'Aragona, che ne facevano strumento di costruzione di una recente unità nazionale e di consenso alla propria politica. Il tema della follia di Giovanna di Castiglia ha suscitato, anche di recente, l'interesse di storici e scrittori. Alcuni autori non lo hanno approfondito ritenendolo trascurabile nel gioco della "grande storia", mentre altri hanno messo in dubbio la versione ufficiale della pazzia di Giovanna, pur riconoscendole un certo anticonformismo. È tuttavia impossibile, dati il tempo trascorso, la documentazione frammentaria, la marginalità storica della questione, eliminare dubbi in un senso o nell'altro e sciogliere così definitivamente l'enigma della presunta pazzia di Giovanna.

Con il matrimonio tra Ferdinando di Aragona e Isabella di Castiglia (genitori di Giovanna) l'Aragona e la Castiglia non si erano fuse in uno stato unitario (nel senso moderno del termine), ma erano rimaste due Corone autonome, sottoposte alle proprie leggi. Isabella rimaneva la sovrana (Reina proprietaria) di quest'ultima, atteso che vigeva il sistema politico del cosiddetto stato patrimoniale. La conseguenza fu che gli affari relativi alle due Corone venivano trattati «come se fossero l'uno un problema esclusivamente castigliano e l'altro un problema aragonese, e cioè li si affrontò come se l'unione fra le due corone non fosse mai avvenuta». Ferdinando aveva acquisito con il matrimonio la Corona di Castiglia, ma con poteri più limitati di quelli della moglie Isabella, che rimaneva la Reina proprietaria. Nel 1504 Isabella confermò questo principio stabilendo, nel testamento, che alla propria morte Ferdinando avrebbe dovuto restituire la Corona di Castiglia alla figlia Giovanna (propria erede diretta). In una situazione normale Giovanna sarebbe diventata di diritto Reina proprietaria di Castiglia, vanificando così le ambizioni del padre e del suo disegno politico. In questo contesto si svolse la tragedia di Giovanna.

Giovanna fin dalla fanciullezza dimostrò un carattere non convenzionale e anticonformista, in una fase storica in cui la religione costituiva un elemento importante dell'identità nazionale. Giovanna era forse giovanilmente e caratterialmente ribelle e suscitava scandalo nella corte reale della madre, che la sottoponeva a una disciplina sempre più rigida. La sua freddezza nei confronti del Cattolicesimo e l'insofferenza per i suoi metodi si rivelarono una miscela esplosiva. All'età di 17 anni Giovanna viene data in sposa all'arciduca Filippo d'Asburgo per ragioni di alleanze politiche e territoriali. Il viaggio per giungere alla nuova corte fu lungo e travagliato. Giovanna si separò dalla sua terra nell'agosto del 1496, quando il mare che bagna la costa cantabrica lo permise: il viaggio via terra attraversando la nemica Francia era impensabile. Il 21 ottobre 1496 furono celebrate le nozze a Lier in veste ufficiale, in quanto Filippo era rimasto talmente affascinato dalla bellezza e dalla forza di Giovanna da volerla sposare nel giorno stesso dell'arrivo di Lei nelle Fiandre. I cortigiani vedevano Filippo e Giovanna come una coppia perfetta, nonostante fossero solo degli adolescenti. Cominciarono ben presto a conoscersi e ad amarsi come se non appartenessero alla famiglia reale.

Giovanna e Filippo si insediarono a Bruxelles dove nacque la loro prima figlia, Eleonora. La prematura morte del fratello Giovanni, a distanza di un anno da quella della sorella Isabella, regina del Portogallo, e del suo erede Miguel, avvenuta nel 1500, pochi mesi dopo la nascita di Carlo, secondo figlio di Giovanna, fecero sì che Giovanna divenisse l'erede al trono di Castiglia.

Se sotto l'aspetto politico il matrimonio era stato un successo diplomatico, lo era stato anche sotto l'aspetto coniugale. Giovanna era solita respingere il marito quando questo degnava d'attenzione altre dame, riuscendo ad allontanarlo per mesi e a farlo cadere in depressione, mentre lui scatenava drammatiche scene di gelosia. Nel novembre del 1504, alla morte della madre, si aprì il problema della successione che per Giovanna ebbe sviluppi drammatici. Con l'inizio del problema della successione, ebbero inizio anche i problemi coniugali. Reso folle dall'ambizione e dalla sete di potere, Filippo voleva a tutti i costi impossessarsi del trono che spettava legittimamente alla consorte. La loro relazione si mantenne appassionata e salda anche nei periodi di odio, grazie al carattere forte di Giovanna e all'affetto cieco ed esagerato che Filippo nutriva per lei. Alla nascita di Ferdinando, Giovanna rimase in Spagna, mentre Filippo tornò nelle Fiandre per motivi politici. Quando si riunirono, la loro relazione si complicò poiché, nell'anno in cui Giovanna era stata assente, Filippo era stato con un'altra donna, per di più francese. L'ira di Giovanna fu presto sostituita dall'indifferenza. Nonostante i due non rinunciassero alla passione (nacque infatti un'altra figlia), qualcosa era cambiato. Filippo si ammalò e Giovanna si rifiutò di abbandonarlo, nonostante fossero ormai nemici dichiarati per il trono di Spagna. Quando lui morì, cominciarono le patologie di una presunta follia di Giovanna causata dal dolore per la sua scomparsa. È facile comprendere che Giovanna, fanciulla diciassettenne, vivesse il matrimonio con Filippo il Bello come un atto liberatorio e, oltretutto, sviluppando un forte sentimento d'amore verso lo sposo, sentimento che si accorgerà ben presto essere ricambiato con stucchevole devozione. Giovanna manifestò subito anche nella nuova casa il proprio temperamento poco ortodosso verso la religione, e poco dopo sviluppò un forte risentimento e una grande gelosia verso il marito.

Le reazioni di Giovanna aumentarono il disappunto di Isabella, opportunamente informata dal frate Tommaso di Matienzo che aveva inviato alla figlia per recuperarla alla religione. Agli occhi della madre Giovanna appariva quasi eretica e pertanto non poteva essere nel pieno delle sue facoltà mentali. Questa situazione conflittuale faceva il gioco di Ferdinando, che non voleva perdere la Corona di Castiglia a favore della figlia e del genero, ma anche degli ambienti religiosi. Filippo, d'altra parte, voleva gestire da solo il regno che la moglie avrebbe ereditato e che un'opportuna demenza della stessa gli avrebbe consegnato. Forse è in ragione di ciò che Isabella nominò nel suo testamento il marito Ferdinando reggente incondizionato della Corona di Castiglia.

Alla morte di Isabella, 26 novembre 1504, Ferdinando assunse immediatamente la reggenza facendola acclamare dalle Cortes a Toro. Fu immediata la protesta del genero Filippo che non voleva perdere la Castiglia ed era pronto allo scontro armato, scontro che venne tuttavia evitato dall'arte diplomatica di Ferdinando. Si arrivò così all'accordo di Villafáfila in base al quale Ferdinando cedeva la Castiglia a Filippo, convenendo con un secondo trattato l'esclusione di Giovanna dal governo a causa del suo presunto stato mentale alienato ma, subito dopo dichiarò di avere subìto un'estorsione da parte del genero, che accusò di tenere prigioniera Giovanna, e smentì il trattato appena firmato affermando che Giovanna doveva mantenere i propri diritti di Reina proprietaria della Castiglia. In questa controversia appare evidente la contraddizione tra la prima dichiarazione di incapacità della figlia e la successiva affermazione dei diritti regali della stessa: una volta folle, un'altra savia.

Sopravvenne provvidenziale la morte di Filippo, 25 settembre 1506, su cui si sospettò non fosse estranea la mano di Ferdinando, e Giovanna divenne un'ambitissima vedova, erede di una prestigiosa Corona. Qui cominciò la tragedia di Giovanna di Castiglia: il padre Ferdinando, reggente, scrisse a tutte le Corti lamentando la demenza della figlia causata dall'improvvisa morte dell'amato sposo. Nacque la leggenda, opportunamente esaltata e diffusa degli strani comportamenti di Giovanna, vedova inconsolabile verso il feretro del marito, comportamenti di cui non vi è documentazione o testimonianza che non provenga dagli ambienti di corte. Dalla morte della madre e fino alla sua, Giovanna detenne solo formalmente il titolo di regina di Castiglia, in quanto il vero potere fu esercitato da una serie di quattro diversi reggenti.

Dalla morte del marito, 1506 e fino al 1520 Giovanna venne confinata, per ordine del padre nel castello di Tordesillas, completamente isolata dal mondo esterno e vi rimase anche quando morto il padre Ferdinando, 23 gennaio 1516 a Madrigalejo, la Spagna ormai unita, passò al figlio Carlo di Gand, poi meglio conosciuto come Carlo V. Il 4 novembre 1517 Carlo, che non vedeva la madre da dieci anni, essendo stato allevato nelle Fiandre dalla zia Margherita, visitò la madre, di cui non ricordava le sembianze e di cui aveva solo sentito descrivere la follia. L'incontro peraltro era dettato dalla necessità di ottenere la legittimazione all'assunzione del potere ma la situazione per Giovanna non cambiò. Carlo temeva le idee poco convenzionali della madre, specie per quanto riguarda la religione: un governo della madre avrebbe avuto effetti dirompenti su quegli interessi del clero e della nobiltà che si erano consolidati negli anni della reggenza di Ferdinando; avrebbe altresì escluso dalla gestione della corona lui e l'entourage fiammingo di cui era circondato e che si stava arricchendo enormemente alle sue spalle; un'incapacità mentale di Giovanna faceva comodo a molti e ovviamente gli interessati ne erano consapevoli. Carlo continuò la politica del nonno lasciando la madre nella stessa condizione in cui l'aveva trovata: prigioniera nel palazzo di Tordesillas.

Carlo pose a custodia di Giovanna il marchese di Denia, don Bernardino de Sandoval y Royas, che si dimostrò un feroce aguzzino non migliore del suo predecessore Luis Ferrer, che peraltro, dichiarava di non avere mai sottoposto la regina alla tortura della cuerda se non per ordine del padre Ferdinando. La prigionia a Tordesillas di Giovanna, regina di Castiglia, fu estremamente dura per quanto coerente con i tempi e resa ancora più dura sia dal rigoroso isolamento a cui fu sottoposta sia dai tentativi di costringerla a pratiche religiose come la confessione che ostinatamente rifiutava.

Il marchese di Denia manifestò uno zelo esemplare nella sua funzione di carceriere-aguzzino, come dimostra la corrispondenza intrattenuta con Carlo, nella quale a volte gli ricordava che prima dei sentimenti filiali dovevano venire gli interessi politici: a volte suggeriva di applicare alla regina la tortura perché questa sarebbe stata utile alla sua salvezza e certamente avrebbe reso un servizio a Dio e spesso gli ricordava che egli agiva nel suo esclusivo interesse. Il marchese allontanava quei frati che, messi vicino alla regina nel tentativo di convertirla, ne divenivano amici e difensori, come accadde per il futuro santo Giovanni d'Avila. Di tutto veniva sempre informato il figlio Carlo che temeva una Giovanna libera e attiva che potesse infiammare il serpeggiante sentimento popolare antifiammingo, mettendo in pericolo il suo potere. Da tempo covava in Castiglia un forte risentimento contro Carlo e i fiamminghi del suo seguito per la rapacità con cui esercitavano il potere e per averne monopolizzato quasi tutte le leve. A ciò si aggiungeva il fatto che Carlo si sarebbe dovuto allontanare per cingere la corona imperiale cui era pervenuto dopo la morte del nonno Massimiliano in seguito a una confusa serie di intrighi e immense somme di danaro spese per comprare i voti necessari all'elezione. In effetti Carlo partì il 20 maggio 1520 lasciando come suo reggente l'odiato fiammingo Adriano di Utrecht, futuro papa Adriano VI.

Alla fine del maggio 1520 scoppiò la cosiddetta rivolta dei Comuneros, con carattere prevalentemente antifiammingo, a capo della quale emerse Juan de Padilla. Nell'agosto dello stesso anno i rivoltosi occuparono Tordesillas, allontanarono il Denia liberando Giovanna, convinti del suo buono stato mentale e cercando di farla passare dalla loro parte. Giovanna ricevette diverse volte i rappresentanti degli insorti ma non accettò mai di porsi in contrasto con il figlio mettendosi dalla loro parte anche se l'avevano liberata: rifiutò sempre di firmare qualsiasi documento che legittimasse la loro azione. È in questa situazione che dimostrò con il suo comportamento di non essere folle preservando gli interessi del figlio. Lo stesso Adriano di Utrecht, diventato vescovo di Tortosa, comunicava a Carlo che tutti testimoniavano della sanità mentale di Giovanna precisandogli anche: «…vostra altezza ha usurpato il titolo reale e ha tenuto prigioniera a forza la regina, che è del tutto assennata, sotto il pretesto che è folle…». La rivolta venne repressa con la battaglia finale di Villalar, il 23 aprile 1521 e i suoi capi furono giustiziati. Dopo il fallimento della rivolta dei comuneros vi fu una sorta di restaurazione: prevalse la grande nobiltà, trionfò l'ortodossia religiosa più conformista, Giovanna fu ricacciata in una seconda prigionia, ancora più dura e crudele della precedente, sotto la custodia del Denia, richiamato per l'occasione, ancora più ostile e livido per le vessazioni subite durante la rivolta.

Lentamente, dopo una serie infinita di piccole e grandi angherie, Giovanna fu ridotta a uno stato bestiale da cui la liberò solo la morte: venerdì 12 aprile 1555 venerdì Santo, dopo avere rifiutato per l'ennesima volta la confessione, morì assistita da Francisco de Borja, che testimoniò la sua lucidità. Giovanna fu sepolta nella Capilla Real (Cappella Reale) della cattedrale di Granada, insieme con il marito e ai re cattolici. Giovanna venerava il padre di cui però fu vittima, ma egli ravvisava in lei pensieri non abbastanza ortodossi, e non abbastanza disposti a seguirlo nella prediletta politica di Inquisizione e di roghi. Giovanna di Castiglia passò alla storia con il soprannome di Pazza, un epiteto dai risvolti ingiuriosi, e forse alla fine lo diventò dopo 46 anni di prigionia durissima, quasi ininterrotta. La ragion di stato sarebbe stata la causa della prigionia di Giovanna, con il pretesto della sua follia, e ciò l'avrebbe resa veramente tale.

Giovanna dimostrò fino all'ultimo una fermezza e una forza morale che neanche la prigionia dura, spietata e senza alcun privilegio per la sua posizione regale riuscì a piegare. A distanza di pochi mesi dalla morte di Giovanna, il figlio Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero abdicherà e morirà tre anni dopo nel Monasterio de Yuste, il 21 settembre 1558. Giovanna, Reina proprietaria di Castiglia e di León, di Galizia, di Granada, di Siviglia, di Murcia e Jaén, di Gibilterra, delle Isole Canarie, delle Indie Occidentali, di Aragona, di Sardegna, di Navarra, di Napoli e Sicilia, contessa di Barcellona e signora di Vizcaya, «non era pazza bensì vittima delle circostanze politiche dell'epoca».